Ecco un’altra intervista dai nostri archivi, datata ottobre 2024: quella a Vincenzo Montella.
Il commissario tecnico della Turchia ha portato la nazionale a un passo dalla semifinale allo scorso Europeo e ora guida il suo girone di Nations League. Con un obiettivo: puntare ai prossimi Mondiali. La sua esperienza, i talenti di questo Paese e uno sguardo sul mondo del calcio. Firmato: Vincenzo Montella.
Facciamo un breve salto indietro nel tempo. Campionato d’Europa, quarti di finale, 6 luglio 2024, Olympiastadion di Berlino. Ci è mancato poco, questo hanno pensato in Turchia e non solo lì. La qualificazione alle semifinali è davvero sfuggita di mano agli uomini di Vincenzo Montella per un niente. La prestazione, a detta di tutti, c’è stata, e che prestazione: sull’1-0 a proprio favore il palo scheggiato dal talento di Arda Güler su punizione o la conclusione di Kenan Yıldız parata, respinta per un tap-in che sembrava scontato (ma salvato in corner)… potevano chiudere la questione. L’undici di Çalhanoğlu & co. stava meritatamente vincendo contro l’Olanda, lo sappiamo però, nel calcio di oggi basta veramente poco per il più inaspettato, secondo quanto visto sul campo, ribaltamento.
Ma il cuore, l’anima, e la qualità messe in campo dalla nazionale guidata dall’Aereoplanino hanno stupito e conquistato tutti. E hanno acceso la passione, incredibile, di un Paese intero! Con il “nostro” allenatore al centro di tutto. Se ci permettete un ulteriore step back in time, al suo arrivo in panchina la situazione non era delle migliori, il pass per l’Europeo pareva distante. Allora perché non farci raccontare la storia da lui, dall’ex attaccante di Empoli, Genoa, Sampdoria e Roma. L’abbiamo intercettato subito dopo la gara di Nations League contro l’Islanda, vinta per 4-2. Un 4-2 che ha confermato il primo posto del proprio girone, obiettivo dichiarato la promozione in League A. Ci ha parlato della sua avventura in Turchia, di come vive l’esperienza alla guida di una nazionale, toccando temi di calcio a 360°.
Partiamo dagli inizi, come è arrivata la chiamata da parte della Federazione turca per allenare la nazionale?
«Mi hanno contattato tramite il mio agente, avevo già vissuto un’esperienza in Turchia per due anni con l’Adana e probabilmente questo ha inciso sulla scelta. La squadra la conoscevo, le potenzialità le sapevo. Sono stato dai dirigenti e abbiamo condiviso ambizioni e aspirazioni. E siamo partiti subito (con la vittoria in Croazia che ha condizionato, positivamente, in modo importante la qualificazione a Euro
2024, nda).»
Quello di commissario tecnico è un lavoro diverso dall’allenatore di club…
«Assolutamente sì, guarda, credo che tra le mie caratteristiche di allenatore ci sia sicuramente quella di adattarmi al contesto in cui lavoro, è chiaro che il selezionatore è un mestiere un po’ differente dal normale. Serve una grande attenzione nello scouting, andiamo a vedere numerose partite delle squadre di club dove giocano i nostri ragazzi, monitoriamo tutte le situazioni e cerchiamo di capire come sfruttare appieno il lavoro che viene fatto dalle società di appartenenza. Bisogna guardare le caratteristiche dei calciatori e trovare il giusto compromesso tra il calcio che desideri e le loro qualità. Con il poco tempo a disposizione devi dare delle linee guida, ma senza esagerare. Con equilibro. E poi devi capire se esistono nel panorama internazionale elementi che ben si sposano con certi ruoli o per fare bene in reparti specifici.»
Hai parlato di caratteristiche dei calciatori, da considerare assolutamente per organizzare la squadra: a proposito di caratteristiche, quali sono quelle del calcio turco? C’è un aggettivo, una parola che può racchiudere il movimento del Paese in questo momento storico?
«La prima che mi viene in mente è “duello”. Con tutte le sue accezioni positive in termini
di formazione del giocatore e dell’entusiasmo che si genera. A “duello” mi sento di aggiungere anche il termine “talento”, perché le nuove generazioni di calciatori turche presentano elementi, giovani, di assoluto valore. E le esperienze che questi ragazzi vivono all’estero sono importanti, li arricchiscono; ricorda, ogni nuova esperienza ti aiuta, che sei giocatore, allenatore, preparatore. Sempre.»
Invece la nazionale cosa può dare loro?
«Dà il modo di tornare a casa, quando giochi all’estero ti manca il tuo Paese. Questo è
fondamentale. Rappresentarlo è motivo di orgoglio e di responsabilità.»
Come si sviluppa il tuo lavoro, quello di un commissario tecnico, nell’arco della stagione?
«Intanto guardiamo e seguiamo tutti i calciatori che sono nel radar della selezione, magari abbiamo abbondanze in alcuni ruoli e siamo un po’ più scoperti in altri, quindi è necessario vedere nuove possibilità. Lo faccio in prima persona e anche i miei collaboratori sono sempre in giro. Abbiamo infatti tanti calciatori turchi, o possibili turchi, in Europa. Questi devono avere il “cuore” turco per rappresentarci al meglio, magari in un prossimo futuro perché sono in squadre under. Poi, quando arriva il momento
di preparare un incontro, ci dedichiamo parecchio allo studio degli avversari, puntiamo molto sulla strategia di gara, che deve essere semplice ma chiara. Per essere efficace. Non c’è tempo, lo sai.»
È soprattutto un allenamento strategico, dunque.
«Sì, i primi giorni dobbiamo fare un ripasso, sui macro-princìpi che desideriamo perseguire, difensivi e offensivi, di pressione offensiva piuttosto che l’inizio azione. Insomma, sviluppiamo l’intero ciclo del gioco. Non è scontato che i giocatori si ricordino tutto e abbiano automatizzato concetti che devono adoperare a distanza di un mese. Nei loro club le richieste sono differenti. Utilizziamo comunque tante sessioni video, colloqui individuali costanti, match analysis sui singoli per aiutarli il più possibile e per far capire loro anche che poniamo molta attenzione su ciascuno, che sono seguiti in ogni momento.»
Dal punto di vista fisico c’è poco da lavorare a stagione in corso…
«Seguiamo anche in questo caso tutti i ragazzi avendo uno stretto contatto coi loro club, ci confrontiamo coi preparatori, abbiamo i report fisici degli allenamenti, analizziamo le partite disputate. Lo staff medico è sempre in contatto per eventuali problematiche, cerchiamo di non lasciare niente al caso.»
Di partite ne guardate molte.
«Diciamo che si viaggia tanto, non è poco il lavoro che c’è da fare con una nazionale. Per me è anche un modo per “prendere”, di apprendere dagli altri campionati. È una forma importante di aggiornamento.
Quando sei con un club studi gli avversari, i loro sistemi, le loro soluzioni offensive e difensive, ogni settimana c’è uno nuovo rivale, ti godi meno il calcio per forza di cose, con questo incarico è diverso, non pensi solo agli opponenti, approfondisci anche situazioni nuove, tendenze di gioco, ti arricchisci…»
Quali sono quelle attuali? Dove sta andando il calcio secondo te?
«Ad alto livello, dovunque, in Italia, in Inghilterra… è fondamentale la velocità, che non è solo fisica, ma è quella di un talento che riesce a superare l’avversario, che si sa distinguere per la rapidità esecutiva. Questa credo sia la caratteristica del calciatore di altissimo livello.»
In Italia, di elementi di questo genere, ultimamente facciamo un po’ fatica a formarli, se così si può dire: per trovare l’ultimo vero talento, che si è affermato, dobbiamo andare parecchio indietro col tempo, c’è un problema di vivai, di allenamento, non so…
«È un argomento veramente ampio, non è facile trovare una soluzione, è vero però che i bambini giocano di meno rispetto al passato, che lo fanno in forma meno libera, toccano poco la palla rispetto a noi, ci sono solo le scuole calcio e non è certo un’ora e mezzo qui che ti permette di diventare giocatore. Per migliorare, noi, quella della mia generazione, giocavamo da soli, continuamente, tutti i giorni, in ogni momento. E poi c’era tanta voglia di emergere, di inseguire davvero il nostro sogno. Non è comunque
un discorso solo di settore giovanile, ci sono tanti fattori, vero è che in Italia comunque fatichiamo a mettere in luce talenti di valore assoluto.»
Torniamo alla Turchia, avete da poco superato l’Islanda, 4-2-3-1 il sistema che avete adottato?
«Diciamo che solitamente difendiamo a quattro, anche se abbiamo lavorato a volte a cinque, diciamo per un 5-2-3, però l’idea di massima è questa in fase di non possesso. Quando abbiamo la palla l’intenzione è di gestire l’incontro, con l’Islanda, solo per fare un esempio, su un campo ghiacciato, abbiamo avuto una continuità nel possesso molto importante, oltre 400 passaggi con più del 90% di riuscita. E questo non può che farmi piacere. Nel reparto d’attacco abbiamo elementi di grande valore, giovani ma di prospettiva importantissima. È chiaro che non puoi lasciare tutto alla loro iniziativa, devi avere e dare delle linee guida, i princìpi di gioco ci devono essere e devono essere riconosciuti da tutti. A volte stai nella metà campo avversaria, gestisci i ritmi – e devi saperlo fare bene – altre stai basso e difendi con dedizione e compostezza. Insomma, nel calcio moderno ti devi un po’ adattare anche ai momenti della partita.»
Detto dei discorsi tecnico-tattici, veniamo all’entusiasmo che avete creato, alle emozioni che avete dato a un popolo. Quanto e perché è stata così contagiosa questa carica emotiva?
«Moltissimo. Tutto è stato ancora più apprezzato perché quando sono arrivato la situazione non era bellissima, abbiamo fatto una partita “epica”, passami il termine con la Croazia in trasferta e ci siamo poi qualificati all’Europeo in anticipo. E c’è stata la manifestazione continentale ben giocata. Ma quello che ha destato ammirazione, quello che appassiona, che la gente riconosce è stata l’identità di un gruppo che si
riconosce nel Paese, e il Paese che si riconosce un po’ nella squadra. E stiamo bene insieme, stanno bene i giocatori, da quelli che sono protagonisti a chi si inserisce piano piano. C’era poi la voglia di fare qualcosa di importante, di dare il massimo in gare “dentro-fuori”. Certo, ci è rimasto un po’ di amaro in bocca, però quello che abbiamo compiuto, l’orgoglio, resta fondamentale anche per il futuro. L’obiettivo oltre alla Nations è puntare a qualificarci per il Mondiale dal quale la Turchia manca da più di
vent’anni anni, dal 2002.»
Parliamo del tuo staff, hai voluto con te persone italiane, ma ti confronti quotidianamente
con professionisti locali. Cosa puoi dirci in merito?
«Dare fiducia ed essere consapevoli della qualità dei propri “uomini” è fondamentale, ti permette di lavorare più velocemente perché li conosci e sai cosa ti possono dare. Al contempo mi piace lavorare con le persone del posto, solitamente del club, in questo caso della nazionale, perché conoscono la storia, anche individuale, dei calciatori, ne sanno più di me, sono padroni di certe dinamiche. Sono a conoscenza di piccoli dettagli, di particolari che possono tornare utili. Con me sono venuto il mio storico secondo Daniele Russo, il preparatore che avevo all’Adana Pierpaolo Polino, il match analyst Massimo Crivellaro e collaborano nello scout Daniele Croce e mio fratello Emanuele.»
Chiudiamo con un’indicazione, un’esperienza che ti senti di condividere con tutti gli allenatori dilettanti italiani.
«Guarda, sinceramente credo che in Italia ci sia una delle migliori scuole allenatori del mondo e anche nei dilettanti c’è tanta tanta competenza. A livello di metodo penso che non ci sia molto da dire, da insegnare, penso che un aspetto da non tralasciare mai, neanche nelle categorie “minori”, è il rapporto che è indispensabile creare coi giocatori. Un rapporto fatto di dialogo, di colloqui, di attenzione personale. Questo fa la differenza.»
Autore: Luca Bignami.
Foto: Imago.