In questi primi giorni del 2025, pubblichiamo alcune delle interviste dello scorso anno. Dopo quella aCesare Prandelliecco Davide Possanzini.
L’importanza di avere una propria idea di gioco ben chiara. Davide Possanzini ci spiega la sua e come trasmetterla attraverso gli allenamenti, non solo quelli sul campo.
In questa interessante intervista Davide Possanzini, allenatore del Mantova, neopromosso – un po’ a sorpresa – in Serie B, ci guida, tra teoria e pratica, verso la sua idea di calcio, quella che desidera – come ogni allenatore che si rispetti – proporre sul terreno di gioco. Scopriamo con lui come la sua passione per il possesso palla e il gioco palla a terra, nata da episodi della sua infanzia, si sia evoluta in un sistema strutturato e coerente di allenamento e di gestione della squadra. Attraverso aneddoti personali e riflessioni profonde, il tecnico del Mantova condivide le chiavi per tradurre idee astratte in esercitazioni concrete e strategie calcistiche, mostrando in che maniera la semplicità e la chiarezza siano fondamentali per far arrivare concetti complessi ai giocatori. Per tutti gli allenatori che vogliono perfezionarsi e curare i particolari, queste pagine offrono una preziosa panoramica su come una visione del gioco limpida possa essere implementata quotidianamente sul campo, valorizzando ogni singolo atleta e creando un calcio armonioso ed efficace.
Da dove nasce la tua idea di gioco? Come si può tramutarla in pratica attraverso le esercitazioni e gli allenamenti?
«Alla base di tutto c’è la volontà di avere sempre il pallone tra i piedi. È un’idea che nasce da lontano, davvero da molto lontano, da quando ero bambino. Quando giocavamo tra amici spesso il pallone finiva nel giardino di una signora che lo bucava, credo sia nata qui la mia volontà di giocare “palla a terra”. Inconsciamente è vero, a volte ci scherzo, ma sono convinto che questo episodio mi abbia influenzato, sia da calciatore sia da allenatore. Voglio fare la partita, giocare da protagonista. Da attaccante poi mi arrivavano pochi palloni, spesso sporchi, palle alte su cui dovevo duellare… oggi vorrei che i miei attaccanti ricevano palle pulite, di sporche ne ho ricevute a sufficienza io per loro (scherza Davide, nda). Partendo da qui si sviluppa tutto il resto: come far arrivare la palla all’uomo libero, anche partendo
dall’inferiorità numerica, quali linee di pressione superare e come… Si passa dal concetto astratto
alle chiavi per poterlo fare realmente sul campo.»
Si comincia da un’idea ma dopo bisogna metterla in pratica in ogni momento della partita. Quanto hai dovuto approfondire tutte le varie situazioni?
«Ho iniziato quando giocavo ancora, ho avuto la fortuna di avere una lunga carriera e quindi ho
incontrato tanti allenatori nel mio percorso. Negli ultimi anni ho riflettuto su quei problemi che trovavo
in campo, in particolare sul ricevere una palla pulita e tutto quello che era collegato a questa condizione. Allora non c’erano le conoscenze di adesso e quindi ricercavo le risposte dentro di me, ricercavo quello che pensavo fosse il modo giusto di fare. Ragionavo sui movimenti da fare, sperimentando in prima persona sul campo per ottenere palloni sempre giocabili. Ovviamente, una volta smesso, ho incominciato a vedere le partite con occhi diversi, provando ad analizzare ciò che succede durante i match e le singole azioni. Credo però che prima dello studio ci debba essere l’idea. Devi avere un’idea precisa che ti guida verso una direzione per metterla in pratica attraverso esercitazioni che ti aiutino a trasmettere i tuoi concetti ai giocatori. Gli allenatori di oggi hanno tutti buone idee, sono molto preparati… la cosa più difficile del mestiere di allenatore è trasmettere la propria idea nella sua totalità. Riuscire a spiegare tutto,
far arrivare ogni singolo dettaglio, non è semplice, perché un conto è stare in campo e giocare, un altro è trasmettere ciò che si vuole, destrutturare il gioco per far capire – anche attraverso una seduta video – quanto studio ci sia dietro a una singola sequenza di passaggi. Lo ripeto, la parte più difficile è proprio trasmettere ad altri la propria idea: perché i princìpi, che sono “nostri”, devono essere messi in
pratica da qualcun altro.»
E quali sono quindi le tue chiavi, i princìpi che regolano il calcio che intendi proporre?
«Credo che la chiave sia la semplicità. Come dicevo prima, il gioco del calcio è già molto complesso di per sé, esistono innumerevoli situazioni, troppe variabili, è impossibile pensare di predefinire tutto. Il compito di noi allenatori è comprendere una cosa così completa come il calcio e farla diventare semplice. Perché più un messaggio è semplice più è chiaro. Inoltre, se è semplice è sempre attuabile: stabilito un principio bisogna essere consapevoli che andrà ricercato in ogni azione che spiegheremo ai giocatori e che quello che loro faranno in campo evolverà con noi… quel concetto non devo mai “mollarlo” perché così facendo si perde di credibilità e cade la solidità anche dell’idea. Il nostro obiettivo deve essere, partendo da un tutto complesso, semplificarlo per renderlo sempre attuale in ogni azione, in ogni proposta.»
La ricerca dell’uomo libero è una chiave del calcio moderno, ne hai parlato anche al nostro incontro di aggiornamento a Coverciano. È anche questo uno dei tuoi pilastri? Come lo hai scelto e come lo sviluppi?
«Nasce da un fatto numerico. Nel senso che quando giocavo attaccante se uno ti marcava d’anticipo e uno controllava la profondità, eri rovinato. Lì ho iniziato a pensare che non era conveniente ricevere palle lunghe che poi andavano perse. Perché non ricercare quindi il giocatore libero, adattandosi alle scelte dell’avversario? Credo che questa ricerca si integri bene con la volontà di controllare il gioco. Ma attenzione: muovendo continuamente palla, si crea sempre un uomo libero diverso. A ogni nuova situazione bisogna capire come ci si può liberare e dove l’uomo può liberarsi. Certamente questo è un
aspetto su cui lavoriamo, così come lo facciamo su altri princìpi. A volte tentiamo di stimolare alcune
pressioni per liberare l’uomo dove vorremmo noi, ma non sempre ci riusciamo perché gli avversari non
fanno ciò che vogliamo. Questa è l’idea, perché, secondo me, se si fa così si riesce a progredire. Perché il
mio intento è quello di saltare una linea di pressione alla volta: il mio scopo non è quello di far subito gol,
ma è la ricerca dell’uomo libero.»
Questa ricerca responsabilizza la squadra, tutti devono essere in grado di gestire la palla, di compiere
delle scelte. Hai trovato difficoltà da questo punto di vista?
«Difficoltà ne ho trovate, e ci saranno sempre. Ciò che mi interessa è che la squadra abbia un’idea comune, che l’uomo libero lo percepisca il portiere così come l’elemento più lontano dalla palla. Quando il gruppo si accorge di chi è l’uomo libero sul movimento che si crea, questo mi rende felice e fiducioso
perché significa che sono riuscito a trasmettere la mia idea. Se riusciamo anche servirlo, meglio ancora.
Mi piace che i miei giocatori giochino ricercando un senso. Tutti ovviamente vogliamo vincere, ma io vorrei che la vittoria fosse raggiunta attraverso un’idea. La nostra forza è quella di sapere che le nostre
idee ci permettono di creare gioco. È vero che oggi tante squadre cercano di toglierti l’uomo libero,
quindi bisogna essere capaci di reagire e riconoscere le zone da attaccare, questo porta a un continuo studio e a un’evoluzione costante. Però avere dei princìpi chiave, che tutti riconoscono, è fondamentale. Certo, farlo in una categoria come la Serie B sarà difficilissimo, però questa è la nostra idea di gioco
e proveremo a realizzarla.»
Nel trasmettere questa filosofia alla squadra quanto usi le riunioni tecniche e i video? Quanto contano invece le esercitazioni in questo processo?
«Secondo me le esercitazioni sono la cosa meno importante tra quelle che hai elencato. Per me la cosa principale oggi è riuscire a parlare attraverso i video. Un giocatore si rivede, è come guardarsi allo specchio, per mettersi di fronte alla realtà, per migliorarsi. Perché durante la partita ognuno si crea una realtà “relativa”, fatta di emozioni diverse, di visioni parziali, invece così ci si confronta con la realtà “assoluta”, e questo è motivo di crescita. Ovviamente partendo da quello che dicevo prima, seguendo sempre il concetto. In ogni immagine che mostro devono esserci i nostri princìpi di gioco, devono essere visti e riconosciuti da tutti. Le riunioni video sono un allenamento troppo importante, che viene prima delle esercitazioni in campo; questo perché uno si rende conto di quello che fa. Noi ne facciamo in genere tre a settimana, una incentrata sulla nostra partita, sul nostro modo di giocare, e poi due sugli avversari: una su quando hanno loro la palla e una su quando non ce l’hanno. Il focus è però sempre
sulla nostra idea di gioco. E, tornando al discorso delle esercitazioni, l’esercitazione proposta può anche essere semplice, ma la differenza la fa quello che dici, quello che ci metti dentro. In realtà, le esercitazioni possono essere tutte valide, ma più che ricercare una struttura bella da vedere e poco funzionale, preferisco una struttura semplice, perché noi allenatori dobbiamo semplificare, mantenendo al centro i concetti come dicevamo prima. Poi certamente per progredire l’esercitazione va estremizzata e complicata per far crescere i giocatori.»
C’è un sistema di gioco migliore di un altro per applicare questo modo di intendere il calcio? Ne hai trovato uno in particolare?
«Assolutamente no. Scelgo in base alle caratteristiche dei giocatori, ma questo non significa che poi non si possa cambiare. Credo non siano i ruoli a fare la differenza quanto la conoscenza di quello che si fa in entrambe le fasi. Ovviamente adesso “insisto” sul 4-3-3 perché è un percorso che abbiamo iniziato da tempo e funziona, ma il nuovo campionato ci darà sicuramente nuovi spunti. Lo cambierò se diventeremo troppo leggibili o ripetitivi per evitare la superficialità.»
Quanto contano i calci piazzati in questa filosofia della ricerca dell’uomo libero? Ha una conseguenza logica anche nei piazzati o sono un mondo a parte?
«Secondo me le palle inattive sono legate a quanto detto finora. Lavoro su questo aspetto nel precampionato, ma non tantissimo durante l’anno perché anche con una palla ferma tutto dipende da quali spazi ti lascia l’avversario, da come difende… Si può pensare a una giocata codificata ma non si può mai prevedere come reagiranno gli opponenti. Credo dunque che anche su questo aspetto ci sia l’esigenza di lavorare per concetti come per le altre azioni.»
Chiudiamo con un consiglio per gli allenatori che stanno per iniziare la loro stagione con i dilettanti. Tanti hanno l’ambizione di fare un gioco spettacolare, ma poi si scontrano con la realtà della propria squadra.
«Quello che posso dire è che il gioco più bello del mondo è quello che noi vorremmo fare. Non ci sono stereotipi, è brutto copiare totalmente dai modelli. Ognuno deve portare avanti la propria idea con convinzione. La vera forza dell’allenatore è quella di essere se stesso, perché facendo il contrario si perde la propria essenza. Se non siamo noi stessi il gruppo se ne accorge e così anche la credibilità della nostra idea viene indebolita. Si deve sempre partire dalla propria idea per fare qualcosa, altrimenti si viene “scoperti” subito, bisogna cominciare da quello che si sente, senza pensare a ciò che fanno gli altri e ai loro giudizi.»
Intervista pubblicata sul numero 379, de Il Nuovo Calcio.
Foto: Imago.