Il lavoro secondo princìpi di gioco nel settore giovanile: la sua importanza e come agire al meglio per insegnare ai propri giocatori a osservare il contesto di gioco prima di ricevere palla.
Programmare l’attività da svolgere con la propria squadra è una condizione necessaria (ma non sufficiente) per offrire ai propri giocatori una valida e formativa offerta tecnica. La modalità di pianificazione può essere scelta utilizzando differenti criteri, anche mixandoli tra loro. Ad esempio, uno dei metodi più usati è la programmazione per “fasi”, che prevede la proposta di esercitazioni analitiche, situazionali e globali per sviluppare durante gli allenamenti i concetti di una o più fasi di gioco (costruzione, manovra e sviluppo, rifinitura e finalizzazione, fase difensiva in possesso e in non possesso palla).
Meno sfruttata è la programmazione per princìpi di gioco, attraverso la quale il focus viene spostato su un aspetto specifico del gioco che si intende sollecitare, trasversalmente alle fasi sopra elencate. Definire nel dettaglio il proprio modello di gioco, pertanto, è un presupposto essenziale per la didattica per princìpi. È quindi necessario che ogni allenatore (meglio ancora ogni società, per garantire un percorso pluriennale coerente) stabilisca lo stile di gioco con il quale i giocatori dovranno tentare di interpretare ogni singola gara. Trattandosi di settore giovanile, i tecnici dovrebbero scegliere quello che ritengono più formativo, ossia che permette ai giovani calciatori di massimizzare i loro miglioramenti anche durante le partite. Il modello deciso diventa così un punto di partenza e anche uno di arrivo della metodologia dell’allenamento.
Conta la specificità
Detto ciò, bisogna considerare che non esiste uno stile di gioco più formativo di altri e valido per tutti (dipende da vari fattori, direi molto “soggettivi”), quindi non penso sia opportuno in questa sede definire un “modello” entrando nei dettagli di tutti i princìpi di gioco che lo definiscono. Ciò che invece considero conveniente trattare è il processo che si può decidere di proporre per la didattica dei singoli princìpi. Ne analizzeremo infatti alcuni in questo articolo. E a proposito di didattica penso sia efficace migliorare un’abilità tramite vari tipi di proposte, alternando quelle analitiche alle situazionali e alle globali, per favorire in tal modo il transfert di un’abilità nel contesto reale della partita.
La visione globale
Una delle qualità fondamentali per il calciatore e che risulta prerequisito per altre, come ad esempio l’orientamento del corpo e i controlli orientati, è la visione globale, ossia la capacità di un giocatore di aver chiaro il proprio posizionamento, quello dei compagni e quello degli avversari, ancor prima di
entrare in possesso del pallone. In tal modo avrà ben presente la situazione nella sua globalità, diciamo a 360° gradi.
Se prendiamo la fase di costruzione, è importante che il portiere riconosca quanto si presenta alla sua sinistra quando riceve palla dal difensore centrale di destra; e il difensore centrale deve sapere cosa può accadere davanti a lui o lateralmente nel momento in cui deve gestire una giocata dal parte del numero uno: i centrocampisti sono marcati? Il terzino è libero? Un esempio ancora più evidente è quello di un centrocampista che viene servito dal difensore e deve decidere come orientare il proprio corpo e dove indirizzare il controllo in base al contesto di gioco alle proprie spalle. È essenziale che i giocatori si abituino ad avere una visione globale anche quando si “immaginano terzo uomo”, ossia quando l’elemento in possesso sta effettuando un passaggio a un altro compagno da cui si potrebbe ricevere il pallone (un esempio in figura 1).