L’emozione di apprendere

L’emozione di apprendere

In che modo le emozioni influenzano la nostra capacità di imparare. Come il tecnico può allenare al meglio i giocatori, sollecitando i “punti” giusti e i comportamenti da avere con bambini e adulti.

L’apprendimento è un processo essenziale, perché attraverso di questo si verificano dei cambiamenti che determinano le nostre capacità, il carattere e l’adattamento all’ambiente. Nello sport stimolare un corretto approccio all’apprendimento è fondamentale per allenare il cervello dei giocatori. Ciò può essere utile nell’agonismo di alto livello, dove “recepire” e “saper fare” rendono funzionali molte fasi del training. Allo stesso modo risulta fondamentale anche nell’avviamento allo sport dei bambini, nel quale le difficoltà nell’imparare i gesti specifici spesso sfociano in un abbandono precoce. Uno dei momenti chiave dell’insegnamento sportivo è ovviamente il “far fare”, perché imparare è un processo legato strettamente alle esperienze vissute direttamente. Ma, è bene ricordarlo, pure ciò a cui si assiste può essere fonte di apprendimento. Ad esempio i racconti di vicende accadute ad altri possono influenzare significativamente le nostre connessioni neuronali. E questo vale solo per la razza umana.

Emozioni e apprendimento

Le evidenze emerse dagli studi neuroscientifici più moderni hanno mostrato con chiarezza che è molto importante che tutti gli insegnanti, allenatori compresi, conoscano il legame profondo che esiste tra le emozioni e l’apprendimento. Inoltre quest’ultimo, se si collega a impressioni negative tende a spingere l’atleta, di qualunque età, ad allontanarsi dall’imparare. L’esperienza dell’errore, in particolare, può essere l’ago della bilancia che, se percepita emotivamente come fonte di dolore, fa vivere il tutto con sentimenti di paura che possono scatenare comportamenti “evitanti”. Perciò, specialmente se si agisce coi bambini, l’apprendimento, in tutti i suoi momenti, deve essere vissuto positivamente, come un’opportunità.

Le emozioni, dunque, sono strettamente collegate all’imparare: la letteratura scientifica mette in luce come l’attivazione emotiva favorisca la memorizzazione di informazioni. Un ambiente che fornisce stimoli emotivi crea terreno fertile per un apprendimento più veloce e duraturo, ma questo è vero nel bene e nel male. Infatti, se l’attivazione emotiva è di tipo negativo (per esempio, caratterizzata da senso di colpa o di inadeguatezza, tristezza, vergogna, paura…) ciò che deve essere acquisito sarà legato a tali sentimenti e quando si dovranno recuperare quelle informazioni, si riattiveranno non soltanto le conoscenze, ma anche le medesime sensazioni negative. Se l’allievo sperimenta disagio nell’imparare una certa cosa, nella maggior parte dei casi metterà in atto dei meccanismi di difesa e cercherà di evitare tutte le situazioni che riattivano queste percezioni sgradevoli.

Dunque, conoscendo bene i meccanismi dell’apprendimento e riconoscendo e rispettando le emozioni e gli stili cognitivi di ognuno, anche gli istruttori sportivi possono attuare meccanismi di aiuto che sostengano e valorizzino lo sviluppo del massimo potenziale di ogni singolo atleta. Tutto ciò ha a che fare anche con l’autostima dell’allievo, che ne influenza in modo importante l’esistenza ed è legata a doppio filo alla capacità di conoscere aspetti e dunque il “saper fare”. Fin dalla nascita siamo apprendisti che costruiscono le proprie capacità. Più sereno sarà il nostro rapporto con il fallimento, maggiore e più libera sarà la nostra motivazione a imparare.

Lasciare un segno

Secondo gli studi di Maria Montessori l’uomo è l’unico animale che nasce solo con circa il 25% delle sue funzioni fisiche e mentali, tutto il resto matura nel tempo. Ciò avviene attraverso le quattro vie dell’apprendimento:

  • per associazione, cioè associando idee nuove a concetti e prassi in qualche modo affini o già note;
  • per tentativi, ossia tentando e ritentando soluzioni che generano successi ed errori;
  • per imitazione, ovvero imitando ciò che fanno gli altri;
  • per intuizione, in pratica intuendo creativamente le soluzioni dei problemi.

È importante che un allenatore tenga presente che la conoscenza è trasformazione. Chi insegna, come indica l’etimologia stessa della parola, “lascia un segno” nell’allievo. Ogni informazione, infatti, che viene assimilata e ogni consapevolezza raggiunta apportano alla persona dei cambiamenti. Insegnare non è affrettarsi a bombardare il discente di nozioni, ma fare in modo che, nel rispetto delle sue peculiarità, comprenda, assimili e faccia suoi gesti, simboli e concetti del calcio, nel nostro caso. Per evitare un eccesso di informazioni, tipico di un sistema di insegnamento basato sulla ricerca spasmodica della prestazione, è necessario puntare: sulla qualità delle informazioni; sui tempi giusti in relazione alle finestre dell’età evolutiva; sul canale emotivo adeguato alle caratteristiche degli allievi.

Senza tenere conto di questi aspetti, l’apprendimento diventa solo il modo di “ingozzare i circuiti” (Lucangeli, 2017). Dunque, un maggior numero di informazioni indotte non corrisponde per forza a una maggior competenza, perché l’apprendere non risponde a leggi algebriche, non è un processo continuo. A periodi di intensi miglioramenti possono far seguito momenti di stasi e questo non si verifica in modo graduale, ma può avvenire attraverso una rivoluzione improvvisa. Ciò che è certo è che ogni buon istruttore deve possedere una conoscenza approfondita delle tappe evolutive dei bambini e dei periodi sensibili (di cui si trova un esempio esemplificativo in tabella A), in cui lavorare meglio sulla formazione dei prerequisiti funzionali (figura 1), sulla maturazione delle intelligenze e sull’acquisizione della tecnica.

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