Attualità
Una disciplina per persone di ambo i sessi, diversamente abili in carrozzina, che si gioca su di un classico campo da basket, con le regole del calcio. L’autore dell’articolo, Diego D’Artagnan, è il referente italiano e il promotore di tutta l’attività.
Si gioca su di un campo da basket delimitato per l’occorrenza. I giocatori in campo, per ogni squadra, devono essere quattro (1 portiere + 3 di movimento) con possibilmente una o due riserve. Il pallone misura 13 pollici (35 cm diametro) ed è dello stesso materiale di un classico pallone da calcio. Bisogna essere muniti di carrozzina elettrica alla quale va installata una paratia (che viene fornita ai partecipanti) all’altezza dei piedi (guarfoot) per il controllo/guida del pallone. I tempi di gioco sono 2 di 20’. Le regole del gioco sono le stesse del calcio classico per normodotati: si deve fare gol in 2 porte larghe 3 metri. Non esiste il fuorigioco e non vi deve essere mai il 2>1 a meno di 3 metri dal punto dove si trova il pallone. Le carrozzine sono a quattro ruote tarate a una velocità non superiore ai 10 Km/h.
Tutto ebbe inizio nel 2011, da una curiosità personale nel chiedermi se vi fosse una forma calcistica per tutte quelle persone diversamente abili costrette a stare seduti sopra di una car- rozzina elettrica, che giornalmente incontravo girando a Porto Potenza Picena, dove ho vissuto dal 2002 al 2010. Fatte le dovute ricerche su internet, arrivai al sito della FIPFA (Federation International Powerchair Association), federazione che regolamenta e tutela questo sport a livello mondiale. Considerando che di professione sono un allenatore di calcio (ho iniziato proprio nel Porto Potenza Calcio) in possesso di patentino Uefa B, partecipare al primo corso disponibile per allenatori di Powerchair non è stato un grosso problema. L’unico ostacolo… la distanza. Infatti sarei dovuto andare a Parigi. Detto fatto. Mi organizzai e partii. Ritornai dopo un week-end con un bagaglio culturale-sportivo molto ampio. Molti i sogni e altrettanti i progetti, parecchi i dubbi. Poche, pochissime le certezze. L’unica era quella di voler portare il Powerchair Football in Italia e un giorno farlo riconoscere dal CIP (Comitato Italiano Paralimpico). Mi misi al lavoro presentando da lì a poco un progetto a un importante istituto riabilitativo delle Marche.
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