Abbiamo vinto. Battuto 2-0 la Finlandia. Tre punti per la classifica del nostro girone di qualificazione all’Europeo itinerante dell’anno prossimo. Abbiamo vinto una partita che poteva complicarsi, perché i nostri avversari sono scesi in campo per lo 0-0, con cinque difensori e poca voglia di aprirsi.
Roberto Mancini, l’aveva detto: questa doveva essere la squadra del talento, quella che vuole fare la partita, che vuole giocare e costruire palle-gol. Un manifesto ambizioso, certo, ma giusto esserlo quando sei l’Italia. La Nazionale che per anni, non gli ultimi, ha ottenuto grandi risultati.
Un centrocampo con Barella, Jorginho e Verratti; Bernardeschi, Immobile e Kean a formare l’attacco; Biraghi a spingere a sinistra, Piccini sulla destra, due difensori di ruolo, con Bonucci, però, che ama giocare la palla. Questa è l’Italia di Mancini, nella quale non c’erano Insigne e Chiesa infortunati, Belotti e Cutrone non del tutto adatti al gioco del mister e Balotelli in attesa di riabilitazione.
Quando giocava, Mancini era sogno, poesia, come toccava la palla il “Mancio” la toccavano in pochi. Ora, dopo anni nei quali le sue squadre non hanno sempre giocato in modo strabiliante, sembra essersi convinto a voltare pagina: squadra che pressa alto, che vuole recuperare subito la palla, che non vuol lasciar rifiatare l’avversario. Questi gli intendimenti e questo quanto si è visto per 40’ del primo tempo, prima che nella ripresa qualche sbavatura facesse tremare Donnarumma. Poi la volontà di raddoppiare e di chiuderla. Hanno segnato Barella e Kean (il secondo più giovane nella storia della nostra Nazionale), due che l’azzurro lo vestiranno ancora per tanti, tanti anni.