Un bomber da oltre 200 gol nei professionisti che si mette a disposizione dei ragazzi della società in cui è stato per diversi anni un “simbolo”.
Il calcio in cui crede, la sua metodologia e i consigli per gli attaccanti.
È stato capitano della Lazio, ha tagliato il traguardo delle 100 reti in Serie A, ha avuto allenatori competenti e preparati, ha giocato con dei campionissimi… e soprattutto ha dovuto fare una certa gavetta per diventare quello che è ed è stato. Ha dovuto vivere lontano da casa da giovanissimo, è sceso in campo negli stadi meno prestigiosi della Serie C. Non si è mai dato per vinto! Questo è ciò che ora sta cercando di trasmettere ai suoi ragazzi, oltre agli insegnamenti calcistici. Oltre a quelle “malizie”, quelle accortezze che solo un attaccante vero può far passare alle sue punte.
Parliamo di Tommaso Rocchi, oggi allenatore degli under 14 della Lazio.
«Sono nato a Venezia e ho mosso i “primi passi” all’Alvisiana, una società della laguna veneta. Poi le categorie successive le ho fatte fino all’under 14 al Venezia Mestre per approdare quindi al settore giovanile della Juventus. Lì ho giocato due anni con gli Allievi e due in Primavera. Devo confessarti che il passaggio da Venezia a Torino non è stato semplice: ero giovanissimo e mi sono ritrovato a studiare e allenarmi in un’altra città, con nuovi amici ma lontano dalla famiglia. Mi ricordo che spesso ero triste, mi sentivo solo… però ero convinto che la scelta fosse giusta. Volevo provare a fare il calciatore e non mi sono mai arreso.»
A chi ti ispiravi in quel periodo?
«Da ragazzino ero milanista, quindi era impossibile non in- namorarsi di Marco Van Basten. Poi alla Juventus ho avuto la possibilità di vedere da vicino diversi campioni, da Baggio a Vialli e Del Piero. Giocatori unici, a cui ispirarsi e “rubare” qualche segreto.»
C’è stato un allenatore in particolare nel settore giovanile che ti ricordi?
«Appena arrivato alla Juventus ho avuto Rinaldo Cavasin. Veniva da Montebelluna, essendo entrambi veneti e io lontano da casa, mi ha fatto praticamente da papà. Poi devo ringraziare i miei genitori che venivano a trovarmi tutte le settimane quando ero a Torino, senza di loro non ce l’avrei mai fatta. In Primavera, ho trovato Antonello Cuccureddu, che è stato fondamentale per la mia formazione in campo.»