Apprendere giocando

Apprendere giocando

Perché il gioco è fondamentale per stimolare l’apprendimento nei giovani calciatori. Le strutture da utilizzare e l’importanza delle emozioni.

I termini istruttore e formatore sono spesso usati come sinonimi, ma a mio parere sono esattamente l’uno il contrario dell’altro. L’istruttore è colui che istruisce, che dà istruzioni, che trasmette il suo “sommo” sapere, che dice “si fa così”. Il formatore invece è colui che aiuta il “formando” ad acquisire una propria forma, una propria identità. A tal proposito è chiaro che i bambini non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere. È da qui che sono partito al Master de Il Nuovo Calcio, in merito al quale vi propongo un sunto del mio intervento.

Tornando al discorso precedente, spetta a noi la scelta da compiere. Dobbiamo capire cosa vogliamo essere per i nostri ragazzi: vogliamo “riempirli” di nozioni oppure considerarci una scintilla per provare a innescare quel fuoco che ogni singolo ragazzo alimenterà nel tempo in base alle sue potenzialità. Spesso pensiamo che il bravo “allenatore” sia quello che spiega tanto, che corregge, che dà consigli durante una seduta, una partita, che guida la squadra, ma siamo sicuri che così facendo aiutiamo un giocatore a esprimersi al meglio e soprattutto ad acquisire competenze di gioco durature?

Secondo il pedagogista americano Edgar Dale, mediamente una persona dopo due settimane tende a ricordare il venti per cento di ciò che ascolta e il novanta per cento di ciò che fa. Nel primo caso si parla di un apprendimento di tipo passivo, utile nello sviluppo di memoria a breve termine. Nel secondo di apprendimento attivo, in cui viene sollecitata la memoria a lungo termine, elemento prezioso poiché, se ben stimolato, permette al giocatore di interiorizzare determinate competenze che lo renderanno, nel tempo, indipendente dall’aiuto dell’allenatore che lo ha sempre guidato in ogni situazione.

Il formatore efficace

Partendo da questi presupposti, si potrebbe pensare che il formatore sia una figura superflua poiché il bambino/ragazzo impara da solo facendo. In realtà, il suo ruolo nei processi di apprendimento attivo può fare la differenza. Infatti, se il giocatore deve “fare” per imparare, il formatore efficace deve saper dare origine a esperienze utili. Spesso si propongono svariate esercitazioni ai ragazzi, ma quanta utilità c’è in ciò che si sceglie? I giovani giocatori vengono il pomeriggio al campo con la testa “stanca” e piena di informazioni scolastiche, familiari e sociali. Sono “contenuti” che tolgono spazio nel cervello all’assimilazione e all’elaborazione di altre, nuove, esperienze.

Il formatore efficace è colui che, avendo presente questa situazione, seleziona le priorità oggetto di apprendimento. In ogni sessione trova terreno fertile nella mente del ragazzo per fargli conoscere, consolidare o migliorare quelle determinate competenze indispensabili per il calcio. Il nostro ruolo, dunque, è quello di creare un ambiente che si apra all’apprendimento, che susciti interesse, curiosità, voglia e che riproponga esperienze reali e non esercitazioni in cui i ragazzi sfruttino i loro ultimi spazi “liberi nel cervello” (passatemi la forzatura) per imparare a memoria meccanismi e ingranaggi poco produttivi ai fini della prestazione. Durante una partita l’allenatore ha la pretesa, poi, di avere ragazzi che, in piena fase di formazione, sappiano gestire determinate situazioni che agli occhi di un adulto possono sembrare scontate e semplici.

Ma perché il ragazzo non ha saputo risolvere quel facilissimo problema motorio, tecnico o tattico? Molto probabilmente perché per lui, e non per l’allenatore, è risultata un’esperienza nuova, non conosciuta o non del tutto appresa. La colpa di tutto ciò non è del ragazzo, ma di chi non gli ha fatto vivere, conoscere e riconoscere quella determinata circostanza. Il giocatore forte è colui che identifica come familiari le molteplici situazioni che accadono poiché le ha vissute tante volte e quindi sa come controllarle e sfruttarle al meglio.

L’intelligenza emotiva

Il calcio è un gioco e le emozioni al suo interno rivestono un ruolo di primaria importanza per due aspetti: “scavano” solchi nel nostro cervello e quindi risultano fondamentali nei processi di apprendimento e nello sviluppo di memoria a lungo termine (come già ribadito nell’articolo di maggio); poi, sono il principale motore delle nostre azioni. A mente fredda, durante una seduta di video-analisi, qualsiasi giocatore sa compiere la scelta giusta. In partita non è così, poiché le emozioni sovrastano il pensiero, sono più potenti di qualsiasi aspetto razionale. Nel percorso di formazione, quindi, non bisogna cercare solo di crescere giocatori intelligenti tatticamente, ma, prima ancora, bisogna formare giocatori intelligenti emotivamente, cioè ragazzi capaci di riconoscere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui.

Questo deve essere un aspetto da allenare sin dai primi anni con la stessa importanza e frequenza con cui ricerchiamo il resto poiché, se un giocatore avrà una spiccata intelligenza emotiva, potrà risultare più efficace di un altro nelle scelte. Infatti, non consentirà alle emozioni negative di prendere il sopravvento nelle sue decisioni. Anche per le emozioni il ruolo delle esperienze può fare la differenza. Come possiamo pretendere che un nostro ragazzo in partita abbia la maturità di non farsi condizionare dalle emozioni se non le ha mai vissute o lo ha fatto per troppo poco tempo? Alleniamo gesti tecnici e situazioni tattiche, ma allo stesso modo dovremmo dare importanza anche al loro apprendimento. Se in allenamento proponiamo esercizi senza una sfida, un duello o una competizione positiva, risulterà quasi impossibile migliorare l’intelligenza emotiva dei nostri calciatori.

Apprendere e non imporre i valori

Spesso abbiamo assistito a situazioni in cui una prima squadra, con giocatori molto forti, non è riuscita a ottenere i risultati prefissati. Oltre alle molteplici considerazioni tecniche o tattiche, un aspetto che potrebbe giustificare una situazione del genere è il conflitto tra valori individuali e di gruppo. Nel momento in cui un gruppo stabilisce determinate “qualità” comuni, ma i giocatori individualmente non hanno la capacità di muoversi secondo queste, ecco che nascono problematiche serie che vanno a depotenziare il collettivo o viceversa. Solo se i valori individuali saranno in linea con quelli collettivi, allora il potenziale potrà essere sfruttato al massimo.

Ancora una volta il formatore in questo può fare la differenza. È opportuno far vivere esperienze di gioco in cui il bambino o il ragazzo apprenda autonomamente quei valori che lo renderanno un elemento capace di far conciliare individuo e squadra. Sicuramente calciatori egoisti avranno avuto allenatori che avranno detto infinite volte che bisogna essere altruisti; allora perché questi non sono riusciti a cambiare tale atteggiamento? Le parole servono a poco, poiché – come detto – tendiamo a ricordare pochissimo di ciò che ascoltiamo. Ecco che i valori non devono essere imposti o consigliati, ma appresi dalle esperienze come ogni gesto tecnico che alleniamo giornalmente. In tutto ciò ancora una volta il maestro gioco può essere uno strumento essenziale poiché un bambino potrà comprendere l’importanza di collaborazione, condivisione, empatia, resilienza e fiducia nell’altro.

Conosco, percepisco, agisco

Si dice spesso che il giocatore deve prima percepire, poi analizzare, decidere e infine eseguire. Secondo me il processo non è più questo poiché nel calcio di oggi e del futuro non c’è e non ci sarà più tempo (tutto scorre molto rapidamente) per analizzare e decidere. Credo al contrario che si vada in direzione di un “conosco, percepisco, agisco”. La percezione, quindi, senza la competenza può risultare inefficace. La conoscenza del gioco è data da due fattori:

  • conosco perché ho vissuto esperienze simili e quindi ho appreso da ripetuti errori e tentativi;
  • conosco i perché delle mie azioni – non è conveniente allenare il cosa, ma il perché di determinate azioni. Se alleno la guida, alleno il perché conduco palla (per attrarre, ad esempio); se stimolo il passaggio, non mi importa se viene fatto di interno, esterno o tacco, ma il perché effettuo quella determinata trasmissione (“muovo palla per muovere gli avversari”) e così via.

Se conosco il gioco e i suoi perché, saprò percepire le informazioni utili e non mi farò distrarre da quelle non opportune. Il giocatore forte, che sembra agire per istinto, in realtà, dentro la sua testa ha già il suo piano (grazie alla memoria di lavoro) non ha necessità di analizzare e decidere, poiché conosce e riconosce il gioco, percepisce informazioni utili, agisce efficacemente. Proprio come il bravo automobilista che dopo alcuni anni di guida non pensa più a come, quando e perché scalare le marce, anche il bravo giocatore agirà in maniera naturale, apparentemente senza pensare, d’istinto.

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