Nello scorso numero, abbiamo fatto due risate con Andrea Pucci, tra il cabaret e l’amicizia con Bobo Vieri. In questa puntata, si va ai box con Marco Melandri. Il pilota italiano racconta la sua carriera a due ruote, tra adrenalina e passione per le moto.
Il Macio Marco Melandri, 37 anni, ravennate, è cresciuto a pane e agonismo. E moto! Oltre 400 le gare disputate, di cui 44 vinte tra Motomondiale e Superbike fino all’anno scorso, quando decide di appendere il casco al cosiddetto “chiodo”. Facciamo rombare subito i motori e raccontare la sua storia…
Qual è stato il primo sport che ha praticato da bambino?
«Il motociclismo! Ho iniziato ad andare in moto quando avevo 4 anni. Poi alle elementari ho giocato a calcio, è lo sport numero uno in Italia, quindi per forza di cose un po’ tutti ci passano.»
Come è nato l’amore per le moto?
«È sempre stato dentro di me. Mio padre era appassionato, dunque sono cresciuto fin da piccolo in mezzo a riviste, videocassette, gare…»
Si è ispirato a qualche pilota?
«Sai, sono passate diverse generazioni, ne ho visti tanti! Quando ero bambino ci fu Capirossi che diventò Campione del Mondo a 17 anni, poi Cadalora, Gramigni, che vinse il primo Mondiale con l’Aprilia, moto italiana… una bella squadra forte appunto di italiani. L’apice fu la rivalità in 500 tra i due americani Kevin Schwantz e Wayne Rainey, due eroi del motociclismo di quell’epoca.»
Ha incominciato prestissimo, quanto si allenava?
«Allora era diverso. Oggi quando iniziano i bambini, “purtroppo”, lo fanno già con l’idea del professionismo, quindi spirito di sacrificio, allenamenti… Prima per noi era un gioco. La prima regola per me era avere almeno 6 in tutte le materie a scuola, sennò mio padre mi diceva “niente moto”. Comunque andavo nei week-end a girare, appena potevo.»
Scopri di più sul numero di luglio: in edicola e disponibile anche attraverso abbonamento cartaceo o digitale. Per info: serviziolettori@sportivi.it