Le caratteristiche dei Pulcini, le attenzioni che deve avere l’istruttore nel rapporto con loro e quale comunicazione è più efficace.
Prima di addentrarci nel mondo dei Pulcini, è importante ricordare che l’organismo umano, se soggetto a determinate sollecitazioni fisiche prodotte dall’esterno, tende a interiorizzare lo stimolo, creando specifici presupposti di adattabilità. Questo indica come il processo di apprendimento psicomotorio, pur basandosi sulle potenzialità biologiche individuali ad acquisire competenze, dipenda dalla sua disponibilità, dalla qualità dell’intervento educativo e dal sostegno dell’ambiente sociale di provenienza.
Il bambino, fin dai primi mesi di vita, possiede un proprio itinerario biologico, contraddistinto sostanzialmente sia da fattori relegati alla specie umana sia dai caratteri ereditari trasmessi dai genitori. Il supporto e la guida dell’ambiente sociale consentono al bambino di confrontarsi con la realtà e di ottenere una sempre maggior autonomia psicologica e motoria. Pertanto, maggiore in quest’ultimo ambito sarà la varietà di esperienze motorie che verranno proposte, maggiore sarà la risposta adattativa con conseguente crescita della motricità. Il processo didattico insegnamento/apprendimento dipende perciò dal rapporto allenatore/allievo e deriva dalla corrispondenza fra stimolo e risposta, senza dimenticare il rispetto dei tempi di crescita individuali.
L’area motoria
A 8 anni il ragazzo tende più alla socialità. Non vuole, pertanto, giocare da solo. I suoi movimenti sono maggiormente fluidi, equilibrati e spesso graziosi. Gli piace dare prova di forza, apprendere nuove tecniche; si concentra di più e ama i giochi di squadra. I maschi danno dimostrazione di forza e prediligono una certa rudezza nel contatto con gli altri. Nelle femmine, invece, si evidenziano le capacità ritmiche. A 9-10 anni le bambine incrementano la padronanza del proprio corpo e acquisiscono un miglior equilibrio, manifestato anche nelle situazioni più critiche. Si assiste in questa età, in entrambi i sessi, a un’apertura verso i compagni; si manifesta il senso del cameratismo, della lealtà e della solidarietà. Bambine e bambini tendono a spendere molte energie, più di quante non se ne possano permettere, pur di fare bella figura.
In questa fase evolutiva il gioco e il pensiero immaginativo dominano la scena. Infatti rappresentano un’esigenza fondamentale, un modo di vivere che sarà basilare per la crescita e lo sviluppo della personalità. È determinante che l’allenatore/educatore accolga e rinforzi questo “mondo immaginativo”, attraverso giochi motori collaborativi/ cooperativi con cui i bambini potranno esprimere il proprio sé all’interno del gruppo. Si nota, inoltre, un primo incremento del sistema muscolare, un controllo volontario del corpo e una crescita della coordinazione generale. Questa è la fase del corpo rappresentato, dove lo schema motorio diventa tridimensionale e dinamico. Pertanto, i bambini possono avvertire come il variare del tempo influenzi l’esecuzione e lo svolgimento di un’azione. Il bambino è in
grado di elaborare idee ed eventi in successione e può aumentare la consapevolezza dell’azione, riuscendo a prevedere e anticipare gli eventi. Queste nuove acquisizioni motorie, sensoriali e cognitive permettono l’interiorizzazione di schemi di movimento sempre più complessi, arrivando a iniziare ad apprendere anche le specificità proprie delle attività sportive e i gesti atletici correlati.
Area cognitiva
I giovani giocatori si trovano nella fase del pensiero operatorio concreto. Corrisponde sul piano intellettivo allo stadio delle “operazioni concrete” di Piaget, in cui il bambino comincia ad allungare i tempi mentali di elaborazione della risposta motoria, il pensiero diventa flessibile e reversibile, non più legato necessariamente al dato concreto. Così scopre di poter tornare al punto di partenza anche dopo varie trasformazioni, conservando però immutati alcuni aspetti come invarianti. La reversibilità segna la genesi del pensiero logico e la logica è il sistema di rapporti che permette di coordinare punti di vista diversi tra loro. La realtà è strutturata adesso attraverso la ragione. Il pensiero tipico di questo stadio è stato definito ipotetico-deduttivo perché i bambini sono in grado di compiere operazioni logiche su premesse ipotetiche in un piano puramente astratto, senza supporti materiali.
Sono ancora egocentrici?
Dagli 8 ai 10 anni i bambini hanno superato la fase “egocentrica” e iniziano un percorso nuovo improntato alla collaborazione con i coetanei; le esigenze della squadra vengono prima dell’individualismo che ha caratterizzato la fase precedente. Questo importante passaggio predispone il bambino a concepire l’insegnamento tecnico in maniera situazionale e in continuo mutamento, dove i parametri spazio-tempo andranno a sollecitare continui adattamenti. Lo sviluppo affettivo e sociale è contraddistinto da un richiamo sempre più forte dal gruppo dei coetanei, mentre l’allenatore assume il ruolo di figura centrale e significativa. L’istruttore, come adulto di riferimento ha un’importante funzione di esempio e modello nei confronti dei bambini, la comunicazione diventa dunque essenziale: come si comunica è fondamentale quanto o anche più di ciò che si comunica. Dimenticarsi di quest’aspetto,
concentrando troppo l’attenzione sui contenuti e tralasciando i modi e il tempo della comunicazione, è un
grande rischio nel lavoro con i bambini e i ragazzi.
Comunicare efficacemente
Il primo passo per comunicare con i bambini è sicuramente quello di utilizzare nei loro confronti un “ascolto attivo”, che consiste nel recepire il messaggio evitando giudizi personali. Se si ascolta per comprendere e non per giudicare, il bambino si sentirà accolto e libero di esprimersi. Il silenzio diventa spazio importante per sostenere l’altro e non come semplice pausa del linguaggio. L’ascolto attivo permette la crescita e un buon sviluppo dell’autostima, favorendo anche una maggiore autonomia, spingendo così a parlare e a esprimere le proprie idee, i propri bisogni e le proprie necessità senza difficoltà. Così si gettano le basi per un rapporto solido e duraturo. Affinché si verifichi un buon ascolto attivo è necessario considerare alcune componenti che rientrano nella comunicazione non verbale come:
- la postura – può riferire informazioni importanti riguardo l’interlocutore, ad esempio chiusura, paura o timidezza;
- il contatto oculare – guardarsi senza creare disagio o imbarazzo fissando costantemente l’interlocutore è un aspetto da tener presente;
- la mimica e le espressioni facciali – il volto degli individui trasmette a prescindere dalla loro volontà, pensieri, sentimenti, emozioni celate consciamente. Valutare l’espressione e gli atteggiamenti del bambino che parla porta a una comprensione globale e puntuale.
I “messaggi” io e tu
È conveniente poi curare, da parte dell’allenatore, la comunicazione non verbale in modo che sia il più possibile congrua al messaggio verbale, per facilitarne la comprensione da parte del bambino. Un’ulteriore strategia prevede l’utilizzo del “messaggio-io”: in questo caso la comunicazione adulto- bambino è basata sull’assenza della valutazione o giudizio, ma lo pone di fronte agli effetti e ai sentimenti che il suo atto procura agli altri. Utilizzando questo tipo di comunicazione l’allenatore potrà gestire, per esempio, una situazione “difficile”. Si dovrebbe dunque sostituire al “messaggio tu” (per esempio, “Sei sempre tu” – espressione di giudizio), il “messaggio io” (ad esempio “Quando ti comporti così, mi fai arrabbiare”), dove il fulcro dell’attenzione non è più il bambino, ma l’adulto con il suo mondo interiore, che pone l’accento sul comportamento e non giudica la persona.
L’allenatore/educatore nel praticare l’ascolto attivo deve essere empatico, cioè capace di comprendere l’altro per davvero, di intuire i suoi sentimenti, di mettersi nei suoi panni, e autentico, cioè sincero e onesto, piuttosto che interpretare un ruolo. L’ascolto attivo è fondamentale per comunicare e stabilire una relazione di fiducia coi bambini a cui stiamo dicendo, in questo modo, che sono importanti, capiti e accettati. Così l’ulteriore messaggio che ne deriva è la percezione di valere, che sta alla base dell’autostima. L’ascolto attivo diventa dunque il fondamento per costruire una relazione, senza la quale non vi sarebbe apprendimento. Pertanto, il contesto relazionale ha il potere di vanificare o esaltare anche la migliore applicazione di tecnica o tattica.
Autore: Paola Regnani.
Foto: Michele Tusino.