Tre squadre entrate nel mito: parliamo dell’undici nerazzurro guidato da Helenio Herrera, di quello rossonero del Paron Rocco e dei verdeoro di Didi, Vavà e… Pelè.
Negli anni ‘60 Milano si trovò quasi d’improvviso a essere la città più in vista non solo in Italia, ma anche all’avanguardia per gli standard europei. Fresca di boom economico, con un’industria che lasciava presagire grandi traguardi e al culmine di un processo migratorio interno che aveva visto muoversi migliaia di famiglie da tutta la nazione in cerca di fortuna. Milano capitale della moda, ma anche del calcio, se è vero che quel decennio fu rappresentato appieno dai trionfi delle due squadre della città, che oscurarono lo strapotere della Juventus. Ci vorrebbero dei libri per spiegare per bene chi fossero Herrera e Rocco, indomiti condottieri di Inter e Milan, così diversi eppure vicini, entrambi leader carismatici e capaci di “cavare” il meglio dai propri giocatori. A livello tattico, mai come nelle loro squadre fu esaltato il concetto di calcio all’italiana, non più usato in senso spregiativo, come se si pensasse “prima a non prenderle”, ma esempio di acume e di saggezza.
Era contemplato sì il libero, ma chi ricopriva questo ruolo erano elementi tecnici imprescindibili, quasi degli allenatori in campo. L’accortezza nella marcatura dello stopper e di un terzino (solitamente il destro), rigorosamente a uomo sugli avversari, e la protezione a metà campo di incontristi e mediani, lasciava liberi mezzali, fantasisti e attaccanti di inventare e affondare il gioco. E che interpreti: Mazzola, Suarez, Corso, Facchetti nell’Inter; Mora, Altafini, Rivera nel Milan.
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