Scopriamo i segreti tattici e la storia del Benfica, una delle sorprese di questa Champions League. Rui Costa ha scelto Schmidt per una proposta diversa ma alla base c’è il senso di appartenenza.
Vincere o perdere non è una scelta. Tutti vogliono vincere e nessuno compete da solo. Quello che si deve scegliere è il modo in cui si gioca per provare a vincere, su quello bisogna lavorare per cercare di rafforzarlo. Andando sul mercato per assumere Roger Schmidt, il Benfica ha portato un’idea associata all’allenatore tedesco. Non conosciamo il risultato finale della stagione, ma la garanzia di avere una squadra chiaramente riconoscibile è il primo passo che i lusitani hanno fatto per contrastare il recente fallimento.
L’idea sopra di tutto
Il presidente Rui Costa, quando ha deciso per l’ex allenatore del PSV, sapeva di rischiare in prima persona (membri del board premevano per un tecnico portoghese, il primo nome era quello di Marco Silva, che stava facendo e sta facendo benissimo al Fulham), ma era deciso a dare al Benfica, la squadra della sua vita, una chiara identità.
Quando si elogia la capacità degli allenatori di adattarsi alla realtà in cui si trovano viene spesso omesso un concetto fondamentale. Ciò che rende preziosi i club – per creare questa identità, qualunque essa sia – è la logica opposta: i migliori sono quelli che realizzano le proprie idee in qualsiasi contesto. Forzandolo, stirandolo, una sorta di “taglia e cuci” (Rafa Silva prima esterno poi sottopunta al posto di João Mario spostato più esterno: fenomenale la loro resa in questo inizio di stagione) fino a trovare il giusto abito. Certo che si parte dai calciatori disponibili e da quelli ricercati (il Benfica ha fatto una mezza rivoluzione di mercato quest’estate), ma è l’idea che li sostiene a essere necessaria.
Dobbiamo interpretare l’arrivo di Roger Schmidt in questa luce. Il club lusitano non ha cercato un allenatore che si adattasse al calcio portoghese, anzi meglio dire al calcio che negli ultimi anni aveva proposto il Benfica stesso. Volevano un tecnico che portasse un determinato tipo di gioco, che per comodità definiamo tedesco, al da Luz, contraddicendo tutto ciò che il club ha fatto nelle stagioni precedenti. La mentalità offensiva è già evidente. Per il modo in cui pressa in tutto il campo, chiedendo ai difensori centrali di uscire dall’area per anticipare e accorciare la squadra, ma anche per la ricerca di un ritmo elevato costante.
Una straordinaria alchimia
Dal primo giorno in cui è arrivato Schmidt, ancora tremolante nella lingua portoghese, si è trovata una straordinaria alchimia. Subito un sistema definito, il 4-2-3-1, subito la scelta dei due mediani, che le hanno giocato pressoché tutte, in campionato e in Champions: Florentino Luis al Benfica è cresciuto nella società di Lisbona, ma qui non ha mai trovato spazio, finendo in prestiti calcisticamente improduttivi, prima al Monaco poi al Getafe, dove era il primo cambio dei tre centrocampisti. Protagonista nell’U19 Campione d’Europa nel 2018 aveva trovato difficoltà a entrare nel calcio dei grandi. Fino all’arrivo di Schmidt.
Il suo compagno di reparto, fino al mercato di gennaio, viene da una storia diversa e a suo modo clamorosa. Enzo Fernandez cresce nelle giovanili del River Plate, dove categoria dopo categoria sperimenta quasi tutte le zone di campo, quindi va in prestito al Defensa y Justicia, piccolo club che però i giocatori li sa scegliere, e bene: vince la Copa Sudamericana con Hernan Crespo in panchina. Il River lo riporta a casa e diventa protagonista anche coi Millonarios. Suonano le sirene di molti club europei ma è Rui Costa il più seduttivo e quello che alla fine lo convince: mai scelta migliore e dopo Beccacece, Crespo, Gallardo ecco il nuovo innamoramento di un tecnico, con Schmidt. Gioca da dominatore non solo il campionato portoghese, ma sembra un veterano anche in Champions.
Classe 1999 il portoghese, 2001 l’argentino, sono esempi dell’architrave anche ideologica del progetto Rui Costa: sostanziare la nuova idea di un tecnico come Schmidt con ragazzi cresciuti al Benfica e con giovani interessanti pescati in giro per il mondo.
Il potere dei simboli
Formazione e scouting, serio. E programmazione. Questa estate è stato ceduto al Liverpool il centravanti Darwin Núñez, per 75 milioni di euro più svariati bonus che possono far salire fino a 100 il trasferimento, il secondo più caro di sempre dopo i 127 milioni pagati dall’Atletico Madrid nel 2019 per João Félix. L’uruguaiano era stato acquistato nell’agosto del 2020 per 24 milioni dagli spagnoli dell’Almeria, mentre il talento portoghese era cresciuto nel vivaio esattamente come Ruben Dias, ceduto nell’estate del 2020 per quasi 70 milioni al Manchester City. Durante l’ultimo mercato le richieste sono arrivate anche e soprattutto per Gonçalo Ramos, l’attuale centravanti: rispedite al mittente anche quelle fino ai 40 milioni. Quest’anno di indiscussa titolarità farà certamente lievitare la cifra. Perché questo è un altro segreto: sapere quando vendere, e soprattutto sapere dove investire, e il primo investimento è culturale.
Rui Costa sa bene che il rischio di queste porte girevoli continue durante le sessioni di mercato potrebbero far percepire il Benfica come un esclusivo club di passaggio, per questo non solo è necessaria un’identità forte di gioco ma ci vuole senso di appartenenza. Nel documento programmatico con cui ha presentato la sua candidatura a presidente del Benfica, l’ex numero 10 di Fiorentina e Milan ha sottolineato l’importanza del vivaio di Seixal, cittadina sede del “Benfica Campus”, dove si formano i talenti. E dove nell’aprile scorso si è festeggiata la vittoria in Youth League, la Champions dei giovani. La Final Four si è giocata a Nyon e in tribuna, per semifinale e finale, era schierata una nutrita delegazione del club, con in testa il suo presidente.
I simboli sono importanti: felicissima la scelta di Rui Costa che è anche sceso negli spogliatoi accompagnando fino al campo i suoi giocatori prima della partita. L’under 19, con qualche innesto dal Benfica B (altro elemento strutturale fondamentale), ha battuto prima la Juventus e poi, nettamente, il Salisburgo conquistando il titolo. In campo anche quell’Antonio Silva che è oggi titolare della squadra di Schmidt. Il proclama di Rui Costa non doveva cadere nel vuoto: «Alcuni di questi ragazzi saranno protagonisti con noi, nella prossima stagione». Detto, fatto. Innovazione e tradizione, modernità e cultura di club. Vincente.
La tattica
Il Benfica ha cominciato la sua “rivoluzione” e il percorso con l’avvento di Roger Schmidt in panchina dal 2 di agosto del 2022, giocando la sua prima partita ufficiale nei preliminari di Champions. Da allora in Champions League è imbattuta, in campionato ha perso una sola partita (al momento della pubblicazione di questo articolo, nda). Comunque vada, questa stagione sarà ricordata come la strada perfetta del cambiamento, capace di impressionare gli addetti ai lavori e i tanti tifosi, ma pure di attirare gli sguardi di semplici appassionati, che vedono nelle Aguias l’ispirazione per ottenere una giusta organizzazione, un’interessante struttura calcistica e un consolidato affiatamento. Il tutto in un tempo breve.
Sistema di gioco
Il Benfica ne ha alternati due: 4-2-3-1 e 4-4-2. Parlare di numeri però diviene soltanto un approssimativo riferimento convenzionale, perché i giocatori hanno chiaramente facoltà di mutare in campo l’ipotetica struttura base. Schmidt ha lasciato a elementi come João Mario e Rafa Silva la libertà di interpretazione delle diverse situazioni, soprattutto in possesso, ottenendo in cambio capacità di gestione dei ritmi della partita e soprattutto la conquista di spazi non codificati. L’analisi che segue si focalizza principalmente su quanto mostrato durante i gironi della Champions League.
Strategia in fase di possesso
Il Benfica preferisce impostare dal basso in una modalità consolidata, con una sorta di 4+2 (variabile negli uomini e negli utilizzi), attuando strategie precise contro pressioni blande e/o in condizioni di grande aggressività avversaria. Infatti, quando il pallone si trova nei pressi del portiere Vlachodimos, troviamo i due difensori centrali (Antonio Silva e Otamendi) e i due esterni bassi (Bah e Grimaldo) nel primo terzo di campo, con occupazioni spaziali che rimangono spesso simili, libere poi di variare a seconda delle pressioni portate dagli avversari.