Roberto De Zerbi: l’organizzazione del mio modello di gioco

Roberto De Zerbi: l’organizzazione del mio modello di gioco

Cosa ha illustrato Roberto De Zerbi in merito al calcio in cui crede. Più di un’ora e trenta di intervento al Master Prime Squadre 2017 de Il Nuovo Calcio sintetizzati in questo scritto, sui suoi cardini operativi.

L’idea di calcio di mister Roberto De Zerbi ha come punto di partenza il calciatore. L’obiettivo è quello di farlo esprimere al massimo delle sue possibilità, partendo non dal collettivo, ma dal singolo. Compito dell’allenatore è portare ogni elemento al top delle sue potenzialità, potenzialità che metterà a disposizione della squadra. Va allenato con attenzione perché i miglioramenti ottenuti sull’individuo saranno fondamentali per tutto l’undici; infatti, è la somma delle prestazioni dei singoli a elevare quelle collettive. È indispensabile partire quindi dalle qualità e dalle caratteristiche dei calciatori.

La difficoltà principale di ogni allenatore, poi, è il trasferimento al giocatore delle idee che ha in testa nella maniera corretta: se non si trovano le parole giuste, i metodi efficaci per “entrare” nel cervello dei calciatori, tutto resta astratto e non funzionale. Si deve chiaramente pensare per princìpi, non è più possibile agire secondo l’idea fissa di sistema di gioco: infatti, compito di ogni mister è comprendere le peculiarità tecniche, tattiche, fisiche e mentali dei suoi uomini, trovare la giusta posizione in campo per ognuno in riferimento alle interazioni coi compagni e organizzare il proprio modello di gioco.

Detto ciò, è chiaro che conviene allenare i calciatori anche in zone differenti da quelle preferite: perfezionare i comportamenti, ad esempio, di un centrocampista in settori diversi da quelli abituali può diventare un vantaggio importante, ad esempio per cambiare pelle allo schieramento o nel momento in cui vi sono gli infortuni. Perché nel calcio che ha in testa il mister, il centrocampista deve agire da centrocampista, non solo da mezzala destra o sinistra o da metodista: deve saper agire in tutte e tre le zone tipiche del ruolo, perché se una è occupata deve “ruotare” in un’altra. Anzi, le rotazioni possono essere pure nei reparti e il centrocampista si può trovare a lavorare anche da “terzino” in possesso palla. La palla però ce l’hanno anche gli altri. Allora bisogna essere bravi a interrompere l’azione, a farla finire e a riposizionarsi. O aggredire!

Il calcio in cui credo

Il primo pilastro del pensiero di Roberto De Zerbi è “avere la palla”: il giocatore, infatti, si deve divertire e riesce a farlo nel momento in cui ha il possesso. Ma dove bisogna gestire il pallone? Ovviamente meglio nella metà campo avversaria, nella quale si hanno più possibilità di segnare; inoltre, è indispensabile essere organizzati per riconquistare il possesso il più velocemente possibile nel caso in cui si perda la sfera. E per ottenere questo scopo, bisogna convincere i giocatori, soprattutto quelli di qualità, che preferiscono agire nella metà campo offensiva, che è meglio una corsa immediata e rapida di 2-3-4 metri in avanti a palla persa, magari ripetuta e “cattiva”, che una di 60-70 indietro per far riposizionare la squadra.

L’ultimo aspetto è stimolare il coraggio e rendere protagonisti i calciatori. L’esempio riportato dal mister per chiarire questo concetto è legato ai difensori. Alcuni prediligono difendere nella propria area, perché conoscono le “malizie” della marcatura individuale, sono forti fisicamente, abili nel duello. Altri è opportuno che lavorino più avanti, a ridosso della metà campo, perché veloci e “forti” nelle letture. E siccome il modello di gioco del mister prevede dominio del gioco nella metà campo avversaria, è logico come sia fondamentale rimanere corti e lavorare in zone più avanzate. E per farlo bene i calciatori devono essere determinati, coraggiosi nel gestire lo spazio alle spalle (50 metri circa) e quello davanti.

I princìpi generali

Per agire in tale direzione, vi sono dei princìpi generali, ovvero:

  • l’occupazione e il dominio degli spazi e la flessibilità del ruolo;
  • il gioco in sicurezza e la non forzatura delle giocate;
  • la ricerca della superiorità numerica in tutte le zone del campo; lo sfruttamento della mobilità e del dinamismo;
  • il riconoscimento del gioco in avanti, laterale e indietro (si gioca tendenzialmente per la profondità; se non si può si ricercano giocate in ampiezza e se anche questa è chiusa si deve tornare indietro per aggirare);
  • la lettura delle varie situazioni che si verificano sul campo.

I giocatori devono poi essere flessibili nei ruoli. Pensate di avere in organico un attaccante che, per esempio, nella gara contro la squadra X, non riesce a “entrare in partita”: non trova abbastanza spazi nella posizione che sta occupando. Se non è stato abituato ad adattarsi in un altro settore, che sia tra le linee oppure nel traffico, è un giocatore senza prospettiva in tale incontro. È sufficiente invece spostarsi di qualche metro che può trovare l’ispirazione giusta. Ma per fare questo è necessario allenare il calciatore.

L’occupazione degli spazi poi è determinante: non esiste nessun sistema di gioco che parte in un modo e finisce nello stesso, perché il calcio è dinamico, le situazioni imprevedibili e pertanto i giocatori devono saper “presidiare” il campo a prescindere dagli schieramenti di base. L’idea di forzare una giocata, con una palla alta, va contro il pensiero di calcio di De Zerbi. Infatti, per giocare nella metà campo avversaria bisogna saperlo fare “in sicurezza”: ogni palla persa diventa pericolosissima per la squadra. Meglio quindi agire palla a terra e “alzarla” solo nel momento in cui si ha la certezza di mettere il compagno in 1>1 o in una chiara occasione da gol. È essenziale però che i calciatori si trovino sempre in superiorità numerica in tutte le zone del campo, con priorità alla prima fase di costruzione. E perché questo avvenga sono necessari mobilità e dinamismo.

Le fasi di gioco

Nel momento in cui mister De Zerbi ha dovuto “organizzare” nella sua testa le idee di gioco in cui credeva, è partito dalla suddivisione del campo in 3 zone (figura 1): la prima è detta di “costruzione” e
può assumere caratteristiche “basse o alte” a seconda del settore in cui incomincia l’azione.

Si tratta di costruzione “bassa” in caso di rimessa dal fondo, calcio di punizione, rimessa laterale in tale spazio. Il primo principio in tal caso è “liberare la palla” per iniziare a comandare il gioco. In base alla pressione che l’avversario esercita, i giocatori devono sapere che in caso di un’aggressione moderata, l’obiettivo è una conquista graduale del campo, pronti sempre ai corretti comportamenti per riottenere il possesso in caso di perdita.

Se invece l’avversario esercita una pressione forte, l’azione in uscita sarà più verticale, si ricercherà anche la profondità e la palla “tra le linee”, con una risalita più “violenta”. Se ci si trova in parità numerica, si indirizza la palla in zona “forte” e si cerca un’uscita senza pericoli («Non ha senso “giocare” dietro, non serve mettere i giocatori in difficoltà. Preparo quindi la palla sopra.»). Nelle figure 2 e 3 due possibili opzioni per costruire in base alle scelte degli avversari.


Si parla invece di costruzione “alta” quando l’azione parte dai 25 metri fino alla linea di centrocampo. Anche in questo caso c’è la ricerca della superiorità numerica per la conquista “ragionata” di campo. Se un giocatore trova spazio davanti a sé, può salire in conduzione, tenendo sempre come principio il non forzare le giocate. Per questo, però, i giocatori non interessati alla costruzione devono offrire linee di passaggio. L’obiettivo di tale costruzione è di uscire dalla prima linea di pressione senza “scavalcare” con palle a parabola. Risulta però fondamentale essere pronti e preparati nel momento in cui l’avversario ruba palla.

Se, per esempio, da una rimessa dal fondo del portiere viene persa la sfera dal nostro centrocampista centrale che si era abbassato e il loro giocatore recupera, ma è in una posizione “scomoda”, spalle alla porta, non è necessaria una pressione forte per l’ulteriore riconquista: basta un riordino veloce dei reparti perché gli avversari non sono in grado di verticalizzare subito. Se, al contrario, l’avversario intercetta e parte deciso in verticale per fare gol, allora vi sarà una reazione difensiva convinta a palla persa.

Il secondo settore è quello di “gestione e sviluppo”, che va fino alla trequarti avversaria. In questo spazio l’obiettivo è muovere la palla cercando di non forzare le giocate, effettuando quindi passaggi corti con palla a terra. I giocatori devono essere in grado di occupare il campo in maniera omogenea per cercare di creare più linee di giocata al possessore. La gestione della palla in questo spazio deve far sì che si crei la più alta concentrazione di avversari possibile in zona palla con il fine di sviluppare con velocità in uno spazio distante più libero.

Se si perde il possesso in un momento di gestione a centrocampo e l’avversario non ha tempo di spazio e gioco, il giocatore più vicino attacca forte il possessore, mentre quelli più lontani vanno sui riferimenti, lavorando sulle linee di anticipo e di intercetto. I compagni ancora più dietro, invece, leggono se anticipare o coprire la profondità. Se, al contrario, l’avversario trova il tempo e lo spazio necessari per attaccare immediatamente, allora i giocatori dovranno essere bravi a riorganizzare immediatamente i reparti.

Il terzo settore infine è quello di “rifinitura e finalizzazione”. Si possono distinguere diversi tipi di approccio alla rifinitura e alla finalizzazione:

  • attacco sul lato corto dell’area – sono necessari due giocatori in massima ampiezza con sovrapposizione esterna del terzino, interna della mezz’ala, diretta e indiretta. In questo caso l’attacco sarà chiamato a “imbuto” perché la corsa dell’attaccante è rivolta dentro l’area di rigore;
  • combinazioni centrali – in questo caso è fondamentale lo smarcamento per la ricerca di una linea di passaggio libera con una postura del corpo corretta (soprattutto l’orientamento delle punte dei piedi). È necessario curare sempre il primo controllo in direzione della porta;
  • palla in “porticina” – in caso di difese molto chiuse si cerca di mettere una palla a rientrare in una “porticina” immaginaria che va da entrambi i lati dal palo della porta fino all’area piccola (figura 4).

La transizione in questa zona risulta di particolare importanza perché permette di evitare delle corse all’indietro di 70-80 metri. Una prima reazione a palla persa è quella “violenta” che mira a togliere tempo e spazio al possessore di palla, andando ad aggredirlo anche con più di un calciatore. Gli altri giocatori dovranno presidiare la zona alle spalle creando una prima linea difensiva fuori dall’area di rigore
avversaria (presidio). Altri 2-3 elementi avranno il compito di marcare preventivamente gli avversari per garantire la riconquista della palla e la copertura della profondità.

Autore: Andrea Bernasconi.

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