I concetti chiave del sistema di gioco che ha valorizzato Eusebio Di Francesco da giocatore e che ha utilizzato da tecnico.
Da giocatore è stato un centrocampista che abbinava grandi doti di corsa a una buona tecnica. Si è costruito in provincia, si è consacrato nella Roma zemaniana. Il suo nome è stato scelto in onore del grande asso portoghese degli anni Sessanta e, probabilmente, da lì è stato segnato il destino di un ragazzo che, smesso di giocare, non voleva fare mica l’allenatore. Ma il ragazzo di Pescara, sulla panchina della Roma, è arrivato addirittura a giocarsi una semifinale di Champions League, dopo aver eliminato ai quarti il Barcellona. L’apice della sua carriera da calciatore è stato nella capitale, sotto la guida di Zdenek Zeman, che ha rappresentato per Eusebio Di Francesco un modello più importante rispetto a tutti gli altri allenatori che ha avuto. Il boemo è stato un precursore, un “maestro” e il fatto di aver provato sulla propria pelle alcuni aspetti, come ad esempio la facilità di mettere in pratica determinate giocate in zona offensiva, ha sicuramente rappresentato un plus per il tecnico pescarese.
Il 4-3-3 1 È subito bene precisare come Di Francesco non “scimmiotti” il tecnico boemo, bensì ne abbia tratto i punti che riteneva più positivi per la sua idea di calcio, unendoli a caratteristiche apprese da altri allenatori. I suoi concetti di base possono essere considerati la costruzione dal basso, con una ricerca di un palleggio fin dal portiere, un’attenzione importante su quelli che possono essere gli sviluppi nella zona offensiva, il pressing “alto” e un focus particolare sulla fase difensiva in cui la richiesta, nella propria metà campo, è quella di giocare sulla palla e non sull’uomo, cosa che al contrario accade talvolta negli ultimi metri. Ma… «Il 4-3-3 non è un modulo fisso, la 2 scelta viene, poi, sempre effettuata in relazione agli uomini a disposizione e al tipo di partita che si vuole impostare.» Il rife- rimento più lampante è la sopracitata gara di Champions League contro il Barcellona, in cui il tecnico ha optato per utilizzare una difesa a tre per dare un’identità ancora più forte alla propria squadra, mettendola nelle condizioni di essere maggiormente aggressiva contro un avversario che fa del palleggio una delle sue qualità migliori. «Alla base di ogni sistema ci deve essere la credibilità nei confronti dei calciatori che si allenano, questo fa la differenza rispetto a ciò che si propone, anche se a volte tale percorso necessita di tempo e deve essere supportato da risultati.»
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