Community coaching, si scende in campo

Community coaching, si scende in campo

Community coaching: gli aspetti da campo e la metodologia da applicare.

Approfondiamo il fenomeno “Football in the Community” (FitC) legato al tema del Community coaching. Attorno a questo tema ci sono spesso diversi quesiti e curiosità. Una di queste, in particolare, potrebbe essere: che tipo di approccio usare nelle attività delle varie iniziative? Le sessioni sul campo rappresentano infatti l’espressione concreta dei diversi progetti. Tuttavia, in queste un errore può essere quello di credere che una metodologia tradizionale possa essere vincente. Al contrario, ne serve una ad hoc, pensata appositamente. Più inclusiva e coinvolgente, che può essere integrata e arricchita con soluzioni mai considerate prima.

Un breve riassunto

Prima però di addentrarci nel merito della questione spieghiamo che cos’è il Football in the Community. Si tratta di un fenomeno ben radicato nel panorama calcistico inglese, che vede i club impegnarsi nel sociale con iniziative di ogni genere: sportive, educative, di inclusione. Le società, con i loro dipartimenti Community, diventano protagoniste attive sul territorio di appartenenza, puntando al miglioramento dello stesso. Questo, per una serie di buone ragioni. Economiche ed etiche ad esempio, ma anche sportive e politiche. Studi hanno dimostrato che i benefici di questi interventi sono decisamente superiori rispetto ai lati negativi. Insomma, investimenti a “buon rendere” che aiutano, seppur parzialmente, a spiegare i successi dell’universo Premier League.

Obiettivo partecipazione

Come immaginabile, l’insieme di questi progetti – che si concentra moltissimo sulle nuove generazioni – coinvolge un pubblico molto ampio e variegato, diverso per aspettative e bisogni. In questo, lo sport e l’attività calcistica di base come li si intende abitualmente sono solo una fetta della platea generale. C’è ovviamente chi partecipa per fini prettamente sportivi, vedi un bambino che vuole giocare a calcio per imparare ed emulare i suoi campioni preferiti. Ma anche chi, diversamente, ne viene attirato per il cosiddetto “effetto calamita”. Come avviene, ad esempio, nel progetto Double Club, in cui si sfrutta l’appeal del calcio nelle scuole elementari per insegnare le lingue straniere. Lo sport diventa quindi un veicolo, un mezzo per trasmettere un messaggio (e non soltanto mera pratica). Per concludere, ma anche semplificare, si può dire che per tutti l’obiettivo è la partecipazione. Prendere parte a un’esperienza, quindi, sotto forma di attività, attraverso la quale soddisfare bisogni, vivere sogni, migliorare o apprendere.

Il community coaching

Quale approccio è in grado di assecondare questa necessità, ovvero di creare e garantire partecipazione? La risposta è il community coaching (CC). Si tratta di una serie di strategie e metodi che incontrano le caratteristiche delle iniziative FitC. Sono due le definizioni che meglio di tutte aiutano a capire cos’è il community coaching e qual è la sua mission; sono tratte da “Coaching in an active nation” (Sport England, 2016). La prima: “Lo stile di coaching è sempre meno legato alla tecnica e più legato all’esperienza.” La seconda: “…Migliorare l’esperienza di una persona nello sport e nell’attività fisica, offrendo guida e supporto specifici in linea con i suoi bisogni e aspettative.” L’esperienza, come si può notare, è la parola chiave di entrambe le citazioni. Come già anticipato, conta la partecipazione. E più in particolare, la qualità della stessa, ovvero il riscontro di ogni persona nel prendere parte a un’attività, così come il suo effetto nel lungo periodo. Tutto ciò in maniera inevitabilmente specifica, perché l’esperienza di ognuno è personale, unica.

Sfide (e soluzioni) nel CC

Sulla base di quanto appena stabilito, sono tre le grandi sfide che il community coaching deve fronteggiare:

  • come garantire il massimo coinvolgimento nelle varie attività;
  • in che modo assicurare che tutti i partecipanti siano stimolati nella maniera che più necessitano e vogliono; in altre parole, come rendere l’esperienza di tutti in egual modo positiva, nonostante una diversità di bisogni e aspettative;
  • come promuovere la partecipazione continua, con un occhio quindi al lungo periodo.

Innanzitutto, offrendo una vasta gamma di opportunità, che sappiano trattare delle tematiche più disparate. In queste, la scelta dell’approccio metodologico deve ricadere su stili, didattica e soluzioni che sappiano divertire, coinvolgere, includere, oltre che aumentare le possibilità che gli individui continuino a partecipare in futuro. Le due strategie che permettono ciò sono la metodologia basata sul gioco e la differenziazione.

Il gioco all’interno del Community coaching

Un approccio diverso all’attività

Puntare sul gioco è sicuramente una soluzione vincente per tutte le attività FitC. Diverte, coinvolge, entusiasma, oltre a essere versatilissimo e facilmente adattabile a più situazioni. Metodologie simili sono ormai molto diffuse, conosciute e largamente sfruttate. Una delle prime è il Teaching Games For Understanding (insegnare il gioco per comprendere), approccio che considera il gioco come fulcro dell’attività didattica e che vede le relative tecniche subordinate e imprescindibili da questo. Sono nati poi simili metodi, tra cui il Tactical Game Approach, il Play Practice o il Game Sense Approach. A parte l’inglesismo sfrenato, nessuna sostanziale differenza, solo dettagli. Il gioco ne è il comune denominatore.

Una soluzione pensata per le iniziative FitC

Perché una metodologia basata sul gioco si sposa perfettamente con il mondo FitC? Il divertimento è assicurato per prima cosa, il che resta prioritario in qualsiasi attività che punti a creare partecipazione. Numerosi studi si sono focalizzati su quest’aspetto e sulle sue varie sfaccettature (motivazione…), riportando solo risultati positivi. C’è poi un coinvolgimento diffuso. Varie ricerche (ma anche l’esperienza sul campo) hanno avvalorato questo aspetto, evidenziando due principali ragioni. In primo luogo, tanto tempo passato a prendere parte attivamente al gioco, il che piace e diverte. Quindi, una partecipazione estesa a tutti, a prescindere da abilità o interesse, genera senso di inclusione e capacità. Queste evidenze, come per il punto precedente, sono determinanti in attività per contesti caratterizzati da un pubblico eterogeneo e variegato. Infine, l’apprendimento. Le caratteristiche del gioco, le varie regole adottabili, l’ambiente possono facilitare l’acquisizione di nuove conoscenze e abilità, seppur questo aspetto non venga “stressato” o direttamente indotto. E “imparare” si pone come elemento facilitante la partecipazione futura di una persona. D’altronde, è più semplice sentirsi
spinti a fare qualcosa se si è capaci di farlo.

La struttura ideale dell’attività

La struttura tipo di un’attività basata sul gioco prevede che tutto sia in relazione a questo. Tradizionale, popolare, una partita a temi, ogni soluzione va più che bene. Si inizia con un gioco, da cui poi si estrapola un contenuto (che non è necessariamente tecnico), il quale verrà analizzato, discusso, migliorato. Il tutto viene, infine, re-inserito in un contesto ludico, dando quindi una dimensione reale e complessa all’esperienza. Esempi di esercizi potenzialmente inseribili in questa struttura sono riportati nelle figure 1, 2 e 3.

La differenziazione

Per quanto il potenziale di un metodo basato sul gioco sia elevato, è un attimo incappare nel classico errore di “sottovalutazione”, cioè credere che un’attività di per sé possieda al suo interno la magia di saper coinvolgere. Non c’è considerazione più forviante. Perché è il modo in cui si propone una cosa che ne favorisce il successo. Ecco quindi che a completare questo puzzle serve un pezzo ulteriore, la differenziazione. Si tratta di una soluzione metodologica che, modificando alcuni fattori di un’attività, consente di offrire sempre un livello di apprendimento o interesse consono al giocatore in un dato momento. Vi possono essere, per esempio, partecipanti bravi a fare una cosa e altri molto meno abili. Oppure, chi è più interessato al calcio e chi meno. Tutti scenari comuni in un’attività di stampo FitC, in cui come detto la varietà dei destinatari è molto ampia, ma in cui l’obiettivo deve rimanere sempre quello di “offrire guida e supporto specifici in linea con bisogni e aspettative”. Esistono varie tecniche che permettono di mettere in pratica l’idea di differenziazione.

Grouping

Innanzitutto, si tratta di accorpare i partecipanti per abilità o interesse, una soluzione abbastanza comune ed efficace. Sicuramente vari sono i pro, ma altrettanti i contro. Ad esempio, questa strategia rischia di creare gruppi fissi, senza che le persone abbiano la possibilità di socializzare e interagire con tutti (obiettivo, quello dell’inclusione, determinante).

I princìpi STEP

STEP è l’acronimo di: Space (Spazio), Task (Compito), Equipment (Materiale), People (Giocatori). Andando ad agire su questi parametri, si ha la possibilità di adattare il livello di un’attività cercando di renderla più vicina ai partecipanti. Si può modificare lo spazio, rendendolo più grande o piccolo, il che in genere aumenta o diminuisce le possibilità di successo. Si può agire sul compito, andando a chiedere a un giocatore qualcosa di più difficile o facile, o eventualmente diverso. C’è poi la soluzione di aggiungere o togliere materiale, come per esempio può essere l’introduzione di una porta in più in una partita o il cambio di pallone (passando da calcio a basket). Infine, la possibilità di modificare il numero di giocatori, bilanciandolo per complicare o semplificare un gioco.

Come proporre i nuovi parametri?

Le modifiche appena citate possono riguardare un gruppo di giocatori o solamente dei singoli. Inoltre, ciò può essere effettuato all’interno dello stesso gioco, con più compiti associati a persone diverse contemporaneamente. Ma come proporre queste modifiche ai giocatori in maniera efficiente ed efficace? Una prima soluzione può essere durante un gioco. Nel momento in cui si nota (dopo un’attenta osservazione o un’evidenza più concreta come ad esempio il punteggio) che un partecipante sta facendo particolarmente bene oppure sta avendo difficoltà, si può intervenire. Ovviamente, le variazioni vanno preparate in anticipo (2 o 3) e dovranno essere consone al gioco e all’obiettivo. L’esercitazione corrispondente alla figura 2 (Wembley) è un esempio calzante. C’è poi la possibilità di proporle su invito (by invitation è l’espressione originale). In pratica, vengono elencate a inizio gioco o come progressioni una serie di alternative che i giocatori potranno decidere di assecondare, sulla base di una propria personale valutazione (“Mi sento in grado di fare quello”). Ne è un esempio l’esercitazione Bull Dog (figura 3), gioco simile al più classico e nostrano “sparviero”, dal successo assicurato nelle sessioni FitC.

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