Partendo dall’importanza delle life skills si suggerisce come interessare coi giovani calciatori l’area cognitiva, quella emotiva e la relazionale.
Cosa sono le life skills (LS)? Il significato più corretto lo esprime forse wikipedia, definendole “competenze per la vita”. In pratica… “Sono un insieme di capacità umane acquisite tramite l’insegnamento o l’esperienza diretta che vengono usate per gestire problemi, situazioni e domande comunemente incontrate nella vita quotidiana”.
Nel 1993 l’Organizzazione Mondiale della Sanità elabora un documento in cui ne identifica dieci:
- consapevolezza di sé;
- gestione delle emozioni;
- gestione dello stress;
- comunicazione efficace;
- relazioni efficaci; empatia;
- pensiero creativo;
- pensiero critico;
- presa di decisioni;
- risoluzione di problemi.
Naturalmente molte di queste si intrecciano all’interno della vita quotidiana, tanto da poterle raggruppare per aree, suddividendole in questo modo:
- emotive, ovvero consapevolezza di sé, gestione delle emozioni, gestione dello stress;
- relazionali, ossia empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci;
- cognitive, cioè risolvere i problemi, prendere decisioni, pensiero critico, pensiero creativo.
Ma come si insegnano le life skills? Innanzitutto, bisogna partire da un presupposto cardine: ogni figura educativa ha a che fare con il proprio ambiente e di conseguenza questo fa cambiare e variare drasticamente i metodi e i mezzi per l’apprendimento delle stesse. Per esempio, provare a stimolare il pensiero creativo in una scuola può non avvenire con la stessa metodologia in cui lo si fa a casa o durante un’attività sportiva.
In quest’ultimo ambito, soprattutto per quanto riguarda i giovani, queste abilità vanno ricercate e stimolate continuamente, per creare nell’atleta non solo una formazione adeguata all’ambiente in cui si trova, ma per aiutarlo a gestire quei problemi, quelle situazioni e domande di cui si parlava precedentemente. Dei tre ambiti citati, quello che riscontra un maggior interessamento in tal senso è sicuramente il cognitivo. Gli istruttori e le società stesse hanno iniziato a capire in questi anni l’importanza che ha un giocatore “pensante” all’interno della propria squadra. Per questo fin dalla scuola calcio si propongono esercitazioni o compiti motori per un pensiero, un ragionamento.
Gli aspetti cognitivi
Analizziamo ora un’esercitazione che interessa la ricerca di un ragionamento che porti a una migliore gestione della situazione, sollecitando appunto l’ambito cognitivo. Si tratta di un “2>1 con scelta libera”: un giocatore si trova al centro di un campo con due porte e due portieri a presidiarle. Due elementi esterni entrano sul terreno di gioco da lati opposti dopo aver effettuato uno sprint e girato dietro a un cono. Il centrale può passare la palla al giocatore che preferisce purché sia già entrato nello spazio (figura 1). Questo diviene il suo compagno e l’altro l’avversario.
In questo semplice esercizio il centrale è posto a dura prova dal punto di vista cognitivo. La sua scelta, che ai più può sembrare facile (il primo che entra nel rettangolo è colui che riceverà la palla), non tiene conto del pensiero critico e allo stesso tempo creativo di chi, in pochi secondi, deve prendere una decisione che può portare a una ottima o pessima risoluzione.
Di fatto i quesiti che possono passare per la testa del centrale sono diversi, anche in base all’età di chi affronta l’esercizio. Per esempio, nei più piccoli le domande con molta probabilità saranno: “Qual è il giocatore più forte dei due?” oppure “A chi voglio più bene?”. Questo perché nei Piccoli Amici o nei Primi Calci, categorie in cui, come noto, l’egocentrismo è un fattore preponderante, l’obbligo di scegliere un compagno deve essere appagante o il risultato finale positivo, ovvero l’ipotetica vittoria del 2>1, o deve coinvolgere un aspetto affettivo come l’amicizia.
Nei più grandi, ad esempio Pulcini ed Esordienti, la scelta potrebbe essere ancora più fine. “Il calciatore A è una buona punta, ma B è un ottimo difensore; quindi, scelgo B come compagno d’attacco in modo da avere più possibilità di superare un attaccante rispetto a un difensore”; o ancora: “Scelgo A perché è un giocatore altruista e so che nel 2>1 mi darà la palla senza andare da solo in porta”. L’ambito cognitivo, quindi, è un settore in cui la formazione calcistica progredisce di continuo. Gli altri due, invece, sono ancora un po’ inesplorati, poco allenati. Si lascia quello emotivo, soprattutto nelle società professionistiche, a specialisti come psicologi dello sport o pedagogisti, figure che vanno a interagire con la sfera sportiva. Ma vi sono esercitazioni che possono andare a toccare questi punti con frequenza e specificità?
Le emozioni
Si propone un’esercitazione che mira a sollecitare il concetto di gestione delle emozioni e a riprodurre il più fedelmente possibile la situazione di stress cui sono sottoposti in partita i nostri giocatori. È una partita a temi, dal nome “riconosci e differenzia”, in cui i calciatori di entrambe le squadre, in qualsiasi momento, possono abbassare uno dei due calzettoni e tenerlo così per almeno 30’’. Possono anche decidere di rialzarlo passato questo periodo di tempo.
Nel momento in cui 4 giocatori hanno i calzetti abbassati, la squadra avversaria ha 15” per accorgersene e comunicarlo a voce alta all’istruttore, pena un gol subíto da aggiungere al risultato finale. D’altra parte, se i calciatori che abbassano i calzettoni sono più di 4 subiscono anche loro un gol da aggiungere al risultato finale. La partita comunque prosegue normalmente e i gol effettuati o subiti sul campo verranno tutti conteggiati per il punteggio complessivo (figura 2).
Partendo dal presupposto che nessun affronta una partita con la volontà di perdere, è conveniente “alzare” la carica emotiva durante gli allenamenti per ricreare una situazione di instabilità che si avvicini nell’animo dei giocatori a ciò che provano in gara. Per questo motivo si possono usare premi di diverso tipo, come l’esenzione dal ritiro del materiale una volta finito allenamento, per i vincitori della sfida. Già in questo modo si interagisce con loro creando “stress” mentale.
L’esercitazione, nello specifico, mira anche a sollecitare comunemente la percezione di ciò che ci circonda. Dico comunemente perché probabilmente il termine “attenti” è uno dei più utilizzati all’interno di un campo di calcio. La paura di ciò che l’avversario può fare per metterci in difficoltà è infatti una delle cose che preoccupano di più gli allenatori. Per cui, si associa l’attenzione su ciò che si deve eseguire in prima persona a quello che svolgono gli avversari. Nello specifico, la regola del calzettone abbassato porta i giocatori, già sotto “stress” a causa della vittoria o sconfitta, a controllare costantemente gli oppositori. Ma anche se stessi, in quanto il conteggio dei calzettoni abbassati della propria squadra e degli avversari determina un gol aggiuntivo, fatto o preso.