Un articolo per ricordare quello che talvolta si dimentica: sono il piacere di giocare, l’entusiasmo, la felicità, l’interesse, il gioco che spingono i bambini al campo e a imparare. Alcune proposte pratiche.
Ho pianificato correttamente l’allenamento? Ho saputo scegliere le proposte corrette? Il mio lavoro mi porterà al raggiungimento degli obiettivi prefissati? Ogni buon istruttore di scuola calcio si ritrova prima o poi a porsi queste domande. Giustamente ci chiediamo se l’impegno e le energie che quotidianamente mettiamo in gioco per i nostri ragazzi siano quelle giuste per raggiungere gli scopi prefissati. Ci si ritrova continuamente a domandarsi se ciò che facciamo in campo e fuori sia la scelta migliore per la nostra squadra. Parlo di allenamento, di gestione del gruppo, di pianificazione degli obiettivi. Tuttavia, dobbiamo considerare che viviamo tutti in una “macchina sociale” che lascia poco spazio all’individuo nello scoprire i suoi bisogni più profondi, dettandoci valori, scopi, tappe e tempistiche. Ma perdendo di vista l’unica cosa che conta davvero: il risultato delle proprie azioni in termini di emozioni vissute. E su questo tema vorremmo porre l’accento nell’articolo.
Stupore, curiosità e passione
A volte abbiamo l’impressione che, per quanti sforzi facciamo e per quanto ci siamo impegnati a migliorare la qualità delle nostre esercitazioni, ponendo massima attenzione anche ai minimi dettagli, i nostri piccoli giocatori non migliorano come vorremmo. Oppure non vivono l’allenamento con lo spirito che desideriamo, né in termini di intensità né di appagamento. Quante volte abbiamo pensato: “Se solo si impegnassero in settimana come fanno alle partite…”. Ma cosa cambia davvero tra la gara e l’allenamento per i bambini, ancor più che per gli adulti? La risposta è le emozioni che provano.
Analizziamo dunque la situazione ponendoci una domanda diversa: quanto si “emozionano” i ragazzi durante l’allenamento? Potrebbe essere questa una chiave di lettura che fa davvero la differenza. Gli obiettivi in sé contano poco, valgono molto di più le emozioni che hanno portato al raggiungimento degli obiettivi stessi. Pensiamo allora a come suscitare le emozioni che cercano i nostri ragazzi e sfruttarle per il raggiungimento dei nostri fini didattici. Un buon insegnante, a prescindere dal settore di insegnamento di cui ha sviluppato le competenze, deve tener conto di tali princìpi, preoccupandosi dell’interesse autentico dei propri allievi, di quello già esistente e di quello che può “scatenare”, partendo dal presupposto di creare stupore, curiosità, passione.
Quale memoria
La memoria motoria dei ragazzi funziona seguendo quasi le stesse leggi della memoria convenzionale del nostro cervello. Ricordiamo con molta più semplicità ciò che ci ha emozionato (positivamente o negativamente), ciò che ha lasciato un segno… legando a doppia mandata un gesto con un’emozione. Il mero ripetere gestualità al di fuori del contesto emotivo che ci spinge ad agire produce meno risultati e diventa più difficile da interiorizzare. Inoltre, dimentichiamo il tutto con più facilità.
La memoria razionale ha tempi di maturazione più lenti, è debole nei primi anni di vita ed è facilmente cancellabile. Quella emotiva invece matura proprio da piccolissimi, è molto attiva quindi coi nostri bambini ed è incancellabile. Pensare che insegnare calcio ai bambini sia sostanzialmente una trasmissione di conoscenza o un travaso da un contenitore pieno a uno vuoto è un errore madornale. Dobbiamo provare a uscire dallo schema secondo cui la sequenza delle nozioni da far passare si basa sul nostro insindacabile giudizio su cosa sia facile o difficile, su cosa e come debba essere fornito e come la combinazione dei nostri insegnamenti debba essere eseguita.
Interesse e impegno
Per far sì che il nostro intervento sia vincente dobbiamo per prima cosa essere capaci di stimolare l’interesse del bambino. E “L’apprendimento è soggetto a una condizione essenziale: che l’alunno concordi nel ricevere la conoscenza e che sia nelle condizioni di porvi attenzione o, in altre parole, che gli interessi” (Maria Montessori). Qualunque cosa scoraggi o distragga costituisce un ostacolo all’apprendimento. Il nostro compito è studiare nelle sedute le condizioni necessarie per favorire lo svilupparsi spontaneo del talento a disposizione del gruppo, consentendo alla gioia, all’entusiasmo e all’emozione di diffondersi.
Deve essere l’interesse a guidare l’attività dei piccoli, non noi istruttori. Noi dobbiamo capire quali sono i modi migliori per catturarlo usando le emozioni. L’impegno, inoltre, è strettamente connesso all’interesse e tutto ciò permette ai nostri piccoli di moltiplicare le energie. I bambini agiscono con molto più entusiasmo e voglia ed è più semplice far loro accettare volentieri sforzo, fatica e disagio. Un bambino che si impegna guidato dall’interesse mostra potenzialità fino a quel momento inespresse. Il compito è dunque sviluppare il talento attraverso l’allenamento, che deve avere una buona frequenza nel tempo in termine di ripetizione di gesti e situazioni, ma dobbiamo cercare di legarlo il più possibile a emozioni positive.