Il riassunto della relazione dei due autori al nostro appuntamento di aggiornamento per chi lavora nel settore giovanile. I concetti principali espressi dai due autori sono collegati all’importanza del gioco e delle abilità aperte nel vivaio; si rifanno al testo pubblicato a giugno “Attività di Base. Dalla teoria alla pratica”.
Un’abilità, che è conseguenza esclusiva dell’apprendimento (non si nasce abili, ma lo si diventa!), può essere caratterizzata da un ambiente stabile in cui viene eseguita (ad esempio, la ginnastica, i tuffi) o da un’elevata incertezza ambientale (ad esempio, tutti gli sport di squadra e quelli con presenza di avversari). Nel primo caso si parla di abilità chiuse (closed skills), mentre nel secondo di abilità aperte (open skills). Per le closed skills, l’abilità si palesa come esecuzione il più vicina possibile al modello tecnico prestabilito, mentre nelle open skills l’abilità consiste nel sapersi adattare dal punto di vista motorio a una situazione sempre imprevedibile: funzionalità del gesto e adattamento sono quindi elementi imprescindibili per la corretta competenza calcistica.
Il medesimo concetto è egregiamente espresso nella Guida Tecnica della Scuola di Calcio edita dalla FIGC Settore Giovanile e Scolastico quando si afferma che “Non ha alcun senso l’esecuzione tecnica fine a se stessa se non è collegata (funzionalità) al contesto (situazione) che ne giustifica l’attuazione.” Alcuni esperti di scienza dello sport (ad esempio, Ford et al., 2010; Ford & Williams, 2011) hanno evidenziato il vantaggio, per allenare le abilità aperte (che sono quelle che caratterizzano il calcio), di utilizzare attività pratiche che ricreino il carattere percettivo, cognitivo e motorio (perception-action coupling, Savelsberg & Bootsma, 1994) richiesto durante la competizione. A tal fine, gli small-sided games (SSGs) in tutte le loro varianti di modalità di gioco (2>1, 3>2, 4>4…) e obiettivi (gol nelle 4 porte, conduzione di palla in meta…) sono estremamente adatti.
DAL GLOBALE ALL’ANALITICO
Nella presentazione delle proposte didattiche, inoltre, l’allenatore può chiedersi se sia opportuno presentare le attività mediante la cosiddetta pratica globale o quella per parti. Questi due termini rappresentano la veste più operativa (e anche riconosciuta a livello internazionale) dei termini noti nella letteratura italiana come metodo globale e metodo analitico. Secondo questo principio, che va di pari passo con il precedente, non sono tanto le singole abilità tecniche fine a se stesse da sviluppare, negli sport di situazione come il calcio, quanto “capacità complessive di azione” (Robazza, 2011) o “unità funzionali” (D’Ottavio & Roticiani, 2011). L’aspetto analitico sarà pertanto utile solo in fasi successive dell’apprendimento, come forma di specializzazione (l’inizio della specializzazione viene solitamente indicato o alla fine degli Esordienti o nei Giovanissimi). Alla luce di quanto sopra, assume particolare valenza la frase coniata da Bernstein “ripetizione senza ripetizione”: esercitarsi non significa ripetere sempre la stessa soluzione di un dato compito, ma ripetere più e più volte il processo di soluzione del compito stesso” (Pesce, 2002).
L’INDIVIDUALIZZAZIONE E LA PERSONALIZZAZIONE
Con individualizzazione ci si riferisce alle procedure didattiche che hanno come scopo quello di assicurare a tutti di raggiungere un livello base di competenze. Con personalizzazione si intendono le procedure didattiche attraverso le quali sviluppare negli allievi particolari doti, talenti o potenzialità, differenti per ognuno. “In altre parole, mentre nell’individualizzazione i traguardi sono uguali per tutti, nella personalizzazione gli obiettivi sono diversi per ognuno”. Nello studio dell’apprendimento motorio, l’analisi degli effetti della quantità di pratica sportiva sul benessere dei giovani e dell’influenza che questa può avere sul loro percorso sportivo ha sempre ricoperto un ruolo di rilievo. Tralasciando i risvolti positivi che lo sport ha sulla salute della persona, ormai assodati e riconosciuti da tutte le maggiori organizzazioni che si occupano del benessere, occorre concentrarsi principalmente su quegli aspetti legati alla metodologia dell’allenamento, con particolare riferimento al tipo di impiego del tempo da parte dei ragazzi durante la pratica sportiva. In letteratura si possono trovare numerose citazioni che riportano l’importanza della quantità di pratica in ambito sportivo, ad esempio:
“Il fattore più importante che contribuisce all’apprendimento motorio è l’esecuzione ripetuta del gesto esatto” (Schmidt & Wrisberg, 2000);
“Una variabile determinante per l’apprendimento motorio è la quantità di esercitazioni sul compito” (Lee, 2001; Robazza, 2004).
LA QUANTITÀ DI ALLENAMENTO
L’introduzione all’elemento “quantità” nella sua accezione più vasta, con gli esempi di attività che la società o l’allenatore possono rivolgere ai ragazzi per aumentarne l’esposizione a esperienze sportive e la presentazione degli studi sulla quantità di pratica, è determinante per capire quanto sia essenziale lavorare in questa direzione. Il tutto specie se riferito all’intera annata sportiva o, ancor più significativamente, al percorso completo decennale di cui un giovane atleta ha bisogno per la sua maturazione tecnica. In seguito all’analisi dei presupposti teorici sulla quantità di pratica, ecco 20 accorgimenti utili a garantire un aumento del tempo in cui il giocatore si muove durante la seduta, sia in modo funzionale al compito scelto dall’allenatore, sia orientato esclusivamente all’incremento del tempo motorio e quindi all’intensità della seduta:
– ridurre al minimo i tempi d’attesa;
– scegliere attività che, una volta spiegate, proseguano in autonomia;
– favorire l’autorganizzazione e la comunicazione tra giocatori;
– permettere numerose opportunità di sperimentare l’obiettivo della proposta;
– optare, se necessario, per un lavoro a stazioni;
– consentire che l’inizio del coinvolgimento nell’attività avvenga attraverso stimoli situazionali;
– condividere con la squadra esercizi pre-allenamento strutturati;
– pensare ad attività che prevedano più compiti in successione;
– presentare le proposte in forma competitiva e ludica;
– prevedere un’attività tecnica di complessità progressiva e adattata allo sviluppo cognitivo del bambino;
– spiegare le attività utilizzando regole progressive;
– usare uno stile di insegnamento di tipo prevalentemente non direttivo;
– evidenziare i comportamenti positivi;
– utilizzare spazi di gioco modulari;
– predisporre un ambiente organizzativo curato in ogni dettaglio;
– evitare l’eliminazione dei concorrenti prevedendo il cambio di ruoli;
– per fini organizzativi ed educativi i gruppi di gioco vengono costituiti dall’allenatore;
– rispettare l’orario di inizio degli allenamenti;
– predisporre attività che prevedano diversi livelli di successo;
– inserire delle varianti per rilanciare l’attività e mantenere alto l’interesse.
Tale approccio fa riferimento al concetto di “Gioco come maestro”, già enunciato ed espresso, tra gli altri, da Horst Wein (1992), oltre che riportato dalla Guida Tecnica per le Scuole di Calcio (a cura del Settore Giovanile e Scolastico della FIGC) ed è in linea coi princìpi metodologici della Non Linear Pedagogy, illustrata in diversi articoli su questa rivista. In sostanza, modificando le regole, adattando le variabili e individuando una corretta complessità (adatta all’età/livello dei bambini), attraverso il gioco è possibile trasmettere ai giovani calciatori le competenze necessarie per essere il più possibile autonomi ed efficaci in un contesto di gara.