L’intervista a Elio Garavaglia, da due anni alla guida dell’Atalanta Mozzanica, serie A femminile. La squadra, dopo un inizio difficile, sta risalendo a china, alla ricerca del “bel gioco”.
Ci troviamo allo stadio comunale di Mozzanica, un paesino di poco più di quattromila abitanti in provincia di Bergamo, che però può vantare la presenza nel campionato di Serie A femminile della squadra che lo rappresenta: l’Atalanta Mozzanica. Dalla scorsa estate infatti la collaborazione tra il Mozzanica e la società dei Percassi. E proprio nel piccolo centro bergamasco si allenano tutte le sere alle 18.00 le ragazze di mister Elio Garavaglia, alla sua seconda stagione alla guida tecnica della squadra.
Mister Garavaglia probabilmente è poco conosciuto nel mondo del calcio femminile, ma ha un curriculum di tutto rispetto alle spalle in quello maschile. Sì, perché Garavaglia, dopo aver maturato diverse esperienze nel settore giovanile del Milan, ha collaborato con Giuseppe Sannino nel Palermo, in Serie A. Quando gli abbiamo chiesto di questo cambiamento, ci ha risposto: «Mi piacciono le sfide che riescono a darmi emozione e mi fanno crescere. E soprattutto perché l’anno scorso mi è stato presentato un progetto serio e interessante». Elio ci spiega la sua filosofia e il suo modo di intendere calcio partendo dai suoi esordi.
Come è iniziata la tua carriera da allenatore?
«Ho fatto la gavetta nei dilettanti in piccole società di “paese”, poi ho allenato tre anni la Milanese Corvetto, che al tempo era gemellata con il Torino. Quella stagione proponevamo un buon calcio, i risultati venivano e a fine anno sono stato contattato sia dal Monza sia dal Milan; e la scelta, oltre che di
cuore – sono milanista – è stata facile: sono andato al vivaio rossonero.»
Una grande opportunità…
«Si, ho fatto tutta la trafila nel settore giovanile, ho avuto la possibilità di lavorare e osservare anche grandi allenatori come Sacchi, Capello, Ancelotti. Sono rimasto per più di vent’anni al Milan, durante i quali ho avuto anche il compito di rappresentare il club nel mondo attraverso le Milan Academy in diversi paesi come Canada, Giordania, Hong Kong, Malta…»
Come ti è sembrato il calcio femminile all’estero?
«Nei paesi di mentalità anglosassone ha sicuramente più risonanza e le partite sono combattute, fisiche e molto seguite dal pubblico. Dal punto di vista atletico sono sicuramente più avanti di noi e l’organizzazione tattica è meticolosa.»
In quale di tutte le nazioni che hai visitato ti sei trovato meglio?
«In linea di massima, sono stato bene dappertutto. Tutte queste esperienze mi hanno aiutato a capire le tradizioni che vi sono negli altri paesi e la loro mentalità. In Giordania, per esempio, che poteva sembrare lo stato più ostico, sono riuscito a conciliare la mia passione per le belle arti e il calcio.»
Come hai trovato il livello del calcio femminile in Italia?
«In proporzione al numero di tesserate il livello è buono. Allargare la base da cui “pescare” le giocatrici di domani è uno degli obiettivi che ci dobbiamo porre. Sono poi diversi gli aspetti su cui lavorare e che vanno migliorati.»
Vista la tua esperienza nei settori giovanili, su quali princìpi pensi che si debbano fondare quelli femminili?
«Credo che vi sia l’esigenza di persone competenti e che si debba dedicare più tempo alla tecnica di base senza prescindere dal gioco, ma anche all’aspetto fisico. Poi ritengo che si dovrebbero ricreare, per quanto possibile e in altre modalità, le condizioni che trovavamo noi quando andavamo a giocare per strada da piccoli. Parlo anche di esercitazioni in cui si stimolano le capacità intellettive delle bambine, senza dare subito le soluzioni. È indispensabile fare in modo che le giocatrici le scoprano da sole.»