L’allenamento individualizzato, oltre a rispettare le differenze dei singoli, permette a ogni giocatore di esprimere le proprie potenzialità e di raggiungere i massimi traguardi personali. In questo articolo degli spunti operativi per agevolare le sedute differenziate.
Nelle squadre giovanili di calcio non tutti i ragazzi hanno le medesime abilità tecnico-tattiche. Solitamente, infatti, insieme ai pochi giovani con spiccate attitudini, ne troviamo alcuni mediamente dotati, nonché altri poco abili. I calciatori manifestano differenze significative, non solo sul piano delle abilità calcistiche, ma anche su quello relativo alle caratteristiche di personalità e in riferimento ai diversi stili di apprendimento. C’è, infatti, chi è più o meno attento e concentrato; chi dimostra maggior motivazione e chi invece ha bisogno di essere continuamente stimolato; chi apprende rapidamente e chi ha bisogno di tempi più lunghi; chi ha uno stile d’apprendimento analitico, chi globale; chi ha un’intelligenza prevalentemente astratta e chi pratica o creativa; chi è particolarmente sensibile ai rimproveri e chi, apparentemente, non si lascia scalfire dagli stessi; chi è irrequieto e disturba, chi si isola e così via. Come procedere nell’allenamento? È giusto proporre a tutti le stesse attività? O è meglio proseguire con i più capaci e rischiare di perdere per strada i meno dotati o viceversa, ovvero rispettare i tempi di chi palesa difficoltà, con il rischio di rallentare lo sviluppo degli altri, demotivandoli? In che modo può l’allenatore proporre un’attività allenante a una squadra eterogenea (giocatori con abilità differenti) ed evitare il rischio di mortificare i meno dotati e/o allenati e di proporre stimoli poco produttivi per i più “bravi”?
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