Alcune idee per stimolare questa qualità che spesso viene trascurata sia calcisticamente sia nella vita di tutti i gioco. Gli esempi dei “grandi dello sport”, la teoria delle 10.000 ore e il talento.
I modelli dominanti che ci propongono/impongono le televisioni e la nostra società non si basano sull’impegno o sulle competenze, bensì sul possesso di qualità estemporanee: ad esempio essere belli, avere giuste frequentazioni o conoscenze (è seguito da quel procuratore… per riferirci ai giovani che giocano in società professionistiche e non solo).
L’idea prevalente è che il nostro destino sia determinato più da fattori esterni come geni, capacità innate, il cosiddetto “talento”, piuttosto che dal proprio impegno. Scoperte degli ultimi anni hanno frantumato però l’idea meccanicistica e riduzionista della genetica, che vede il gene come un motore immobile (non modificabile).
I campi della plasticità e delle neurogenesi cerebrale hanno chiarito come in primo luogo si possano modificare, in maniera reversibile, i rapporti tra cellule per rispondere a stimoli diversi. In secondo luogo, si possono formare – e continuamente avviene – nuove connessioni che cambiano la mappa cerebrale di un’area. Infine, si possono “creare” nuove cellule: neuroni e cellule gliali. Questo fenomeno si chiama appunto neurogenesi e segna la fine del dogma della fissità del tessuto nervoso. Il cervello infatti produce nuove cellule nervose nel corso dell’apprendimento soprattutto di nuovi dati.
Campioni si nasce? O si diventa?
È del 1995 il primo studio sugli umani che dimostra come la ripetizione di un esercizio di movimento rapido delle dita, per quattro settimane, causi un allargamento dell’area corticale motoria primaria, deputata all’organizzazione dell’azione delle dita stesse. In questo studio, realizzato con la risonanza magnetica, si dimostrò che l’allargamento dell’area corticale motoria persisteva per mesi, fin quando l’esercizio poteva essere richiamato alla mente. Ciò significa che la proposta ri- petuta aveva creato nuovi circuiti stabili.
L’epigenetica pertanto abbandona l’idea che le informazioni trasmesse dai nostri genitori sono un set di potenzialità e non di caratteristiche già formate.
Quindi se i geni non ci determinano totalmente e l’ambiente ci condiziona, campioni si nasce o si diventa? È sufficiente l’impegno a garantirci l’eccellenza?
La teoria di Ericsson, nota come delle “10.000 ore”, ha fornito un supporto scientifico al fatto che, nella nostra specie, i vertici dell’eccellenza non si raggiungono grazie al determinismo genetico, ma attraverso un processo volontario. Le prestazioni assolute sono frutto in maniera preponderante dell’esercizio piuttosto che delle capacità innate. Senza impegno e dedizione, senza fatica e allenamento, si può essere bravi, ma non si diventa straordinari.