I bambini/ragazzi sono scatoloni da riempire di nozioni o “lampadine” da accendere? Una riflessione, corredata da diverse proposte pratiche, sull’idea di allenare per modelli o princìpi.
Il mondo del calcio è sempre stato refrattario alle innovazioni, un ambiente “elefantiaco”, passatemi il termine, che rispetto ad altri sport è sempre stato molto più lento nel percepire le novità. E in particolar modo nelle metodiche di lavoro del settore giovanile, che hanno subìto un’evoluzione ancor meno rapida.
Una volta si ragionava col disastroso pensiero che i bambini erano dei piccoli-adulti ed era sufficiente adattare solo le quantità rispetto a quanto si proponeva nei grandi, sia dal punto di vista organico sia da quello tecnico-tattico; successivamente, alla fine degli anni ’80, invece, si è compreso che il mondo dei ragazzi era una sfera a se stante rispetto all’adulto e le metodologie andavano costruire su misura secondo le necessità dei giovani e non potevano più essere improvvisate. Mi vengono in mente 2 grandi maestri che hanno agito in questa direzione, Horst Wein e Christian Bourrel.
Oggi è d’attualità un altro dilemma, ovvero allenamento per modelli (schemi) o per princìpi. Chiariamo immediatamente di cosa stiamo parlando. I modelli sono soluzioni indicate dall’allenatore sia nell’apprendimento del gesto tecnico-motorio sia di un compito tattico; l’informazione di ritorno al bambino è data dal giudizio dell’istruttore. Nel caso dei princìpi, al contrario, l’allenatore non offre la soluzione al giocatore, ma lo spinge a trovarla da solo. In pratica, non “regala la bicicletta”, ma “insegna a usarla”. Le esercitazioni proposte sono a livello di scoperta guidata con l’istruttore che, grazie all’apprendimento per prove ed errori e a domande mirate ai ragazzi, li renderà protagonisti.
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