Le più recenti teorie dell’apprendimento, tra gioco, complessità, errori che servono per apprendere e plasticità del cervello. Perché l’allenatore deve conoscere per diventare migliore.
“Il calcio è arte, non scienza”, si legge spesso su libri e testi vari. Oppure lo dicono alcuni personaggi dello sport che tanto amiamo. Tutto vero, ci mancherebbe. Però, sicuramente il calcio ha bisogno (o meglio la utilizza già in varie forme) della scienza per progredire. Per affinarsi. Per completarsi. E la “scienza”, concedeteci un po’ di libertà sul termine, tocca tanti contesti: fisico, tattico, psicologico, pedagogico, matematico… solo per dirne alcuni. Dallo studio di ciascuno di questi ambiti si può trovare qualcosa che ci fa affinare nell’insegnamento del gioco del calcio. Ci rende migliori perché vogliamo migliorare i nostri giocatori (qualsiasi sia la loro età e il loro livello), e logicamente anche il Gioco. Questo deve essere scopo di chi vive in questo mondo, uscire dalla logica del “Si è sempre fatto così” ed entrare in quella della scoperta. Della “novità” giusta, che ci trasforma in perfezionisti. Ricchi di sapere da trasmettere. Ecco perché è indispensabile che l’allenatore, in particolare di giovani, abbia conoscenze e competenze in merito all’apprendimento, alle modalità con cui questo avviene coi bambini/adolescenti, all’importanza dell’ambiente formativo.
Ci siamo rivolti allora a Matteo Cioffi, psicologo e allenatore UEFA A, docente e responsabile ai corsi centrali del Settore Tecnico di Coverciano per l’argomento psicologia. Ne è nata un’interessante analisi sui temi più “freschi” collegati alla formazione del giovane calciatore.
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Autore: Luca Bignami.
Foto: Depositphoto.