L’importanza di allenare i numeri uno del vivaio mediante mezzi che consentano un’interazione tra capacità fisiche, abilità tecnico-tattiche e aspetti cognitivi.
Il processo di trasformazione che ha investito il mondo del calcio e il ruolo del portiere negli ultimi anni, dovuto a cambiamenti regolamentari e alle evoluzioni delle diverse interpretazioni tattiche, ha portato a una notevole riduzione degli spazi e dei tempi di gioco, producendo un vertiginoso innalzamento della velocità delle azioni. Per questo motivo, sono mutate notevolmente anche le caratteristiche dell’estremo difensore. Il calcio è uno sport di situazione open skill, ad abilità aperte, con una moltitudine di variabili. Un numero uno efficace deve essere “mentalmente” dotato e avere notevoli capacità cognitive per essere in grado di affrontare i continui cambiamenti dell’ambiente esterno, oltre ad avere una buona lettura del continuo flusso dei più svariati stimoli che riceve. L’allenatore dei portieri che lavora in ambito giovanile non può, pertanto, esimersi dal considerare quanto indicato; l’obiettivo di chi opera con i giovani portieri non deve essere limitato al solo sviluppo della tecnica di base, ma deve mirare alla formazione di un estremo difensore “pensante”, in grado di leggere le situazioni di gioco ed elaborare velocemente risposte motorie appropriate. Durante la gara, infatti, il numero uno è sollecitato in maniera rilevante nell’interpretazione delle situazioni, in funzione dello spazio e del tempo, in particolar modo per quel che riguarda velocità, posizione e traiettorie della palla, del posizionamento rispetto alla sfera stessa e degli avversari. Senza dimenticare la relazione con lo spazio in cui deve intervenire (ad esempio, in un uscita dentro o fuori area di rigore).
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