La più bella l’ho sentita da un tifoso: “L’Inter non è una società di calcio, ma è un’agenzia interinale: 84 giorni di lavoro per Frank De Boer, 5 per Stefano Vecchi”.
Battute a parte, è andato in scena l’esonero che tutti attendevano. Un addio annunciato, che ha vari padri. Dalla società che si divide tra Cina, Indonesia e Milano, fino all’allenatore stesso che non ha capito fino in fondo il nostro calcio.
Proprio così: De Boer non ha capito fino in fondo il calcio italiano, che non è il più bello, ma il più difficile in assoluto. Un calcio che grazie alla “Scuola Allenatori” sforna i tecnici più preparati, magari non i migliori in assoluto, ma i più bravi a rendere difficili le partite, a mettere a nudo le criticità dell’avversario.
Non solo in Olanda, ma anche in Spagna, Inghilterra e Germania, molto spesso vince il più forte. Da noi no, perché ti trovi a fare i conti con squadre che sanno chiudere alla perfezione e ti azzannano appena ripartono.
E ora? Si dice arrivi Pioli, che è un ottimo allenatore, oltre che una persona di buon senso (in questi casi aiuta). Pioli alterna senza problemi difesa a tre e linea a 4, ma dovrà subito fare chiarezza con il gruppo: da una parte i titolari, dall’altra le riserve (termine brutto? Sceglietene un altro).
L’Inter, soprattutto in attacco, ha molti giocatori (ci sono pure Gabigol e Jovetic, visti con il contagocce) e tutti pensano di meritare di stare in campo 90’. Anche i giovani (Miangue e Gnoukouri) non sono male, ma a calcio si gioca in undici. Poi, se l’allenatore vuole, ne entrano tre…
Via Mancini, via De Boer, interregno per Vecchi; poi basta. La lezione è servita, Suning dovrebbe averla capita.