Sulla partita che ha condotto la Juventus in finale si staglia una figura: quella di Gonzalo Higuain, autore di una doppietta e di una reazione più che umana nei confronti di chi prima lo ha amato e poi lo ha fischiato. Higuain ha fatto ciò che gli viene meglio (cioè gol) e poi ha mandato un saluto (oltre ai tifosi e al suo ex presidente) a chi domenica sera ha contato il numero di palloni che ha giocato, senza capire che le due sfide erano troppo differenti l’una dall’altra.
Quella di domenica in campionato, alla Juventus andava bene così: Allegri non voleva rischiare nulla (o quasi) e per questo una volta trovatasi in vantaggio la Juve ha abbassato il ritmo e ha atteso sotto la linea della palla, senza provare a ripartire. Certamente il Napoli ha provato a giocare, ma dall’altra parte ha trovato un avversario che non ha mai sofferto.
Diverso il discorso della partita di Coppa Italia. Ritmi alti, intensità, animosità, si è visto tutto ciò che le due squadre domenica non hanno messo in campo. Troppi i punti da recuperare in campionato, mentre i due gol (senza subirne) che il Napoli doveva segnare per conquistare la finale erano un obiettivo possibile da centrare.
La Juventus fino al gol del 2-2 (un gentile regalo di Neto), però ancora una volta è parsa superiore, imbrigliando un Napoli che non ha bisogno di avere un centravanti statico in area di rigore (Milik o Pavoletti), ma che è più bello e pericoloso quando gioca con Callejon, Mertens e Insigne.
Qualcuno dirà che la squadra di Sarri è più bella, ma non servivano due partite in quattro giorni contro i bianconeri per arrivare a questa conclusione: la Juventus è più solida, spreca meno energie e dà l’impressione di controllare la gara anche quando si difende e obbliga gli avversari a girare la palla, perché non ci sono linee di passaggio che consentano le verticalizzazione.
Giocare come il Napoli è un merito. Ma giocare come la Juventus, lo dimostrano i risultati, non è una colpa.