Quando Gianni De Biasi decise di accettare la sfida, lo fece con grande entusiasmo. Ci fu anche un po’ di rammarico, perché molti calciatori albanesi, nel tempo, avevano deciso di vestire la maglia della Svizzera. Anzi, una delle prime partite ufficiali dell’Albania di De Biasi fu proprio contro la Svizzera, finì 2-0 per la squadra di casa e, vedendo chi c’era dall’altra parte, il rammarico aumentò.
Dalle qualificazioni Mondiali in poi, abbiamo seguito le “Aquile” con simpatia e attenzione, accompagnati da una certezza: la tattica dell’allenatore italiano poteva fare molto, non tutto. Tradotto: si poteva non prendere gol, ma il problema vero era segnare.
Paolo Tramezzani, vice di De Biasi, più volte mi disse che c’era del buon materiale sul quale lavorare e una volta aggiunse un particolare: “Appena preso possesso del ruolo di cittì, De Biasi ha voluto fare uno stage con gli Under 20 per capire quale fosse il livello dei giovani, di chi ancora non aveva esperienza in campionati esteri”.
Quando ieri sera Sadiku ha segnato il gol del vantaggio sulla Romania, ho pensato al coraggio di chi decide di non attendere una panchina di Serie A (o di B), ma sceglie di espatriare, di mettersi in gioco, di insegnare realmente calcio a chi, a livello di settore giovanile, non ha avuto tecnici di livello.
La vittoria dell’Albania sulla Romania, i tre punti in classifica nel girone A, la (flebile) speranza di conquistare gli ottavi di finale, sono il giusto premio per un popolo che, dopo la sconfitta con la Francia, ha osannato i suoi ragazzi come se avessero vinto. E questo è pure il premio al coraggio (e alla professionalità) di chi alle parole e alle sterili polemiche ha preferito i fatti