Nel 2004 abbiamo avuto il piacere, grazie a Beppe Baresi (allora responsabile del settore giovanile dell’inter) e Marco Monti (tecnico dei Giovanissimi) di intervistare Tito Vilanova, quando venne in Italia per una settimana, allenando alcune squadre della società nerazzurra. E a tre giorni dalla sua scomparsa, vogliamo rendergli omaggio pubblicando l’intervista completa con relative esercitazioni apparsa sul numero di marzo 2004.
L’INTERVISTA SU IL NUOVO CALCIO
Non si tratta di un nuovo acquisto per la prima squadra, ma di un’iniziativa del settore giovanile nerazzurro volta a migliorare gli aspetti metodologici e didattici grazie al confronto con un tecnico proveniente dalla penisola iberica. Giuseppe Baresi e mister Vilanova ci raccontano questi sette giorni e le metodologie d’insegnamento tipiche dei vivai spagnoli, oltre ad alcune esercitazioni che il tecnico ha proposto ai Giovanissimi Nazionali.
L’Inter ha invitato per una settimana un allenatore spagnolo a lavorare sui campi del settore giovanile. Una scelta dettata dal desiderio di far proprie idee nuove e conoscere una cultura calcistica differente dalla nostra. Mister Francesc Vilanova Bayo, entrenador con alle spalle numerose stagioni all’interno del settore giovanile del Barcellona, ha accettato con entusiasmo la proposta di Giuseppe Baresi e ha trascorso una settimana a Interello, dirigendo in prima persona i Giovanissimi Nazionali con l’aiuto di Salvatore Cerrone, mister della squadra.
La presentazione
Giuseppe Baresi, responsabile del settore giovanile della società di via Durini, ci spiega la nascita di questa iniziativa e quanto osservato nei giorni di permanenza a Interello del tecnico spagnolo. Come è nata l’idea di questo confronto con alcune realtà straniere?
«In una riunione ci siamo chiesti come migliorare la qualità del nostro lavoro. E una delle strade che abbiamo pensato di intraprendere è proprio questa: apprendere metodologie di allenamento da alcuni paesi esteri. In pratica, scoprire culture differenti e modi diversi di proporre e intendere il calcio ci può consentire di cogliere alcuni aspetti utili per fare un altro passo avanti nella formazione globale del calciatore. Quindi, abbiamo rivolto lo sguardo a quegli stati in cui i settori giovanili sono all’avanguardia e la nostra prima scelta è caduta sulla Spagna. Ma abbiamo in cantiere un’iniziativa simile con una società inglese. A tal proposito, conoscendo mister Vilanova Bayo e la sua preparazione maturata nel settore giovanile del Barcellona l’abbiamo invitato a trascorrere una settimana con noi, guidando direttamente uno dei nostri gruppi, i Giovanissimi Nazionali.»
Dopo aver osservato il tecnico spagnolo durante alcune sedute, quali sono le differenze notate rispetto agli istruttori dell’Inter?
«Lavora sempre con palla, anche dal punto di vista atletico. Probabilmente in Italia iniziamo un po’ prima l’intervento fisico, mentre in Spagna prediligono fino a una certa età esercitazioni solo con la sfera. E il possesso di questa è la base della loro filosofia. Comunque credo sia una questione prettamente culturale, legata alla realtà sociale iberica, al loro gusto per l’estetica e per il bello, mentre in Italia badiamo di più al concreto. Dunque, dobbiamo essere bravi a cogliere gli aspetti salienti del loro lavoro senza snaturare le connotazioni del nostro calcio. Hanno la fortuna di avere ancora molti ragazzi che giocano per strada, cosa che in Italia non succede. Quindi non ha senso prendere il modello spagnolo e copiarlo pari pari, ma è necessario cogliere quanto ci può consentire di migliorare.»
Chiacchierando con il mister ha scoperto altre peculiarità del suo lavoro e della mentalità iberica?
«Lo scarso peso al risultato. Giocare bene è la parola d’ordine. Dovremmo far nostra questa filosofia anche se non è facile. Sappiamo bene che il lunedì la maggior parte degli addetti ai lavori, dei genitori e dei giornalisti guardano la classifica e si dimenticano della prestazione. Ed ecco che nascono pressioni su società e allenatori. »
Avete in cantiere altre iniziative di questo genere?
«Stiamo per concludere l’accordo con il Liverpool in modo da inviare un tecnico in Inghilterra e avere l’occasione di vedere all’opera un mister del loro settore giovanile qui a Interello. Inoltre, come ogni anno è ai nastri di partenza il convegno europeo, un’altra occasione di confronto con l’estero.»
La cultura del gioco
Mister Vilanova Bayo ci racconta la sua carriera da giocatore, la filosofia del calcio spagnolo e le differenze che lo contraddistinguono rispetto a quello italico.
Quali sono state le sue esperienze da calciatore e da allenatore?
«Ho iniziato nel settore giovanile del Barcellona, giocando nella seconda squadra. Poi ho disputato alcuni campionati nel Celta Vigo, nel Maiorca, nel Lleida e in altre squadre di serie B. Come tecnico, la mia esperienza principale è nelle inferiores (settore giovanile) del Barcellona, dove la categoria maggiore che ho allenato corrisponde ai vostri Giovanissimi.
In questa fucina di talenti ho avuto la possibilità di ammirare molti tecnici, tra cui Rexach, Quique Costas e Cruiff. Li osservavo sempre con attenzione perché penso che l’aggiornamento costante sia la strada migliore per crescere come allenatore.
Anche da giocatore mi comportavo così: volevo scoprire i segreti dei miei entrenadores per metterli in pratica in futuro.
Volevo e voglio migliorare e ora cerco di documentarmi il più possibile anche viaggiando in Europa. Questo è uno dei motivi che mi ha spinto ad accettare con entusiasmo la proposta degli amici dell’Inter.»
Quali aspetti del calcio italiano conosceva prima di questa esperienza?
«Ho partecipato con il Barcellona al torneo Maestrelli e a quello dedicato a Gaetano Scirea in provincia di Milano, rimanendo quasi un mese in Italia. E le squadre del Bel Paese erano di buon livello con giocatori di qualità. Però, il principio es un poco distinto: in Spagna il bel gioco, raggiunto grazie a un continuo possesso di palla, viene sempre al primo posto. Il risultato è sì importante, ma non decisivo. Bisogna conseguirlo solo ed esclusivamente attraverso ottime prestazioni; se giochi bene, puoi anche perdere una o due partite, ma alla fine tale filosofia paga sempre, sia in termini numerici sia per la crescita e la formazione di un calciatore. E soprattutto, in caso di sconfitta, è basilare comprendere il perché: così facendo, mañana ganaremos (domani vinceremo).»
Per raggiungere questo obiettivo è importante utilizzare il più possibile il pallone.
«Sicuramente! Tutte le parti dell’allenamento prevedono sempre il contatto con la sfera. Parto dal riscaldamento, con una base di tecnica individuale e una parte coordinativa con andature pre-atletiche. Nella seconda fase, intervengo sulla tecnica analitica, alternando giornalmente il passaggio, il tiro, il gioco di testa, il cross o l’uno contro uno. Nel terzo momento, l’obiettivo preminente è il possesso palla, con delle partite a tema, lavorando in ampiezza o in profondità. Il tutto si conclude con la classica partita. Propongo anche gli aspetti fisici con la palla: per semplificare il concetto all’estremo, stringo gli spazi per intervenire sugli aspetti di rapidità, li amplio per la resistenza.»
Se vede un errore esecutivo, come lo corregge?
«Intervengo durante le fasi di recupero. Però, in caso di errori macroscopici, soprattutto a livello tattico, i miei suggerimenti sono immediati. Preferisco tale metodologia perché ritengo fondamentale l’intensità delle esercitazioni e non posso continuare a fermare l’allenamento. Negli esercizi svolti in questi giorni ho lasciato liberi i ragazzi di provare nuove esercitazioni, ricordando che il processo di apprendimento è lungo e passa anche attraverso gli errori: al termine di ogni fase, infatti, con mister Cerrone correggevamo insieme l’operato dei ragazzi.»
Come può riassumere in una parola la filosofia calcistica spagnola?
«Possession de la pelota! Se la mia squadra ha il pallone, gli avversari non possono fare gol. La nostra mentalità si basa soprattutto sul concetto di campo muy grande con el balon e campo reducido sine balon. Quando siamo in possesso dobbiamo occupare il maggior spazio possibile e se non possiamo “sfondare” in una zona, occorre girare tranquillamente la sfera, senza aver paura di giocarla con il portiere. Quando non abbiamo il controllo della pelota, desidero che gli avversari siano contrastati già nella loro metà campo, così da costringerli a lanciare palla lunga. Non devono mai uscire palla al piede partendo dalla difesa. E poi stringiamo gli spazi, lasciando libero il lato debole del campo rispetto al pallone.»
Quale sistema di gioco predilige?
«Il 3-4-3: rombo a metà campo, con attaccanti esterni e difensori che si allargano in fase di possesso. E il vertice basso del rombo deve essere sempre il miglior giocatore della squadra. Per costruire una formazione, parto sempre dalla fase di possesso. Ribadisco il concetto: se la mia squadra si trasmette per quindici volte la palla, gli avversari faranno quindici sprint per contrastarci. Così si stancano e recuperare la sfera, qualora la si perda, è più agevole. Per insegnare questo sistema di gioco, spiego i movimenti prima a secco e poi con palla, vincolando gli avversari prima a un ruolo passivo e poi attivo. Chiaramente in un primo tempo in spazi piccoli, con pochi giocatori, fino ad arrivare all’undici contro undici, passando per numerose esercitazioni con i difensori in inferiorità numerica. Ci vuole del tempo.»
Che differenze ha notato tra il calcio italiano e quello spagnolo?
«La preparazione fisica in Italia è molto curata e i giocatori maturano precocemente anche sotto l’aspetto tattico. Diciamo che hanno qualche malizia in più nel loro bagaglio tecnico-tattico; su un calcio d’angolo, ad esempio, cercano già il contatto fisico, si appoggiano all’avversario e così via. In Spagna, forse siamo più “puri” e, come già sottolineato, amiamo il possesso di palla con tanti passaggi, molto veloci, a due tocchi sui nostri campi, quasi sempre bagnati per rendere più rapida la traiettoria. E poi ogni settore giovanile produce giocatori per la prima squadra, cosa che non sempre avviene in Italia: al Barcellona su ventidue atleti in rosa almeno dieci provengono dal vivaio e di questi quattro o cinque sono titolari.»