Fare la partita: questo il pensiero del mister della squadra emiliana. E per riuscirci, a costo di correre qualche rischio, servono anche tre punte vere. Il lavoro fisico e il parere del mister dei portieri e del secondo.
Il primo incontro con Eusebio Di Francesco fu in un hotel alle porte di Novara, si parlò ovviamente di calcio e l’impressione fu quella di aver davanti un giovane allenatore, fresco vincitore di un campionato di LegaPro con il Pescara, molto attento alla fase di non possesso. Che qualcosa stesse cambiando lo si percepì nella stagione successiva a Lecce, ma la vera rivoluzione è targata Sassuolo. Sì, perché è qui che nasce il 4-3-3 con tre attaccanti veri, con un giocatore offensivo sulla linea dei centrocampisti e due esterni bassi che, con la squadra in possesso, si propongono costantemente. E, se per vincere un campionato di Serie B una simile interpretazione può essere “normale” (ma la storia ci insegna che c’è chi ha scelto altre vie), un po’ tutti si sono stupiti quando queste armi sono state dichiaratamente utilizzate per raggiungere la salvezza. Già, perché troppe volte abbiamo visto squadre perseguire questo obiettivo segnando un gol e difendendolo in tutti i modi. Invece qui si è sempre provato a giocare, a fare la partita, anche se lo scorso anno, per una certa parte di campionato, il Sassuolo ha utilizzato il 3-4-3 ed è proprio dalla difesa a tre che inizia l’intervista. «La difesa a tre non mi piace, non la sento mia, sono passato a questa organizzazione anche se non ero contento di farlo. L’ho utilizzata perché in quel periodo la squadra subiva troppi gol, aveva bisogna di sentirsi più sicura, servivano maggiori certezze. Il difensore in più ha tolto un uomo al centrocampo, mentre sulle fasce avevo confermato i due esterni della difesa a quattro.»
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