Intervista: Eusebio Di Francesco

Intervista: Eusebio Di Francesco

L’intervista all’allenatore della Roma, il suo modo di intendere il calcio e alcune idee da campo. La parte fisica seguita dal suo collaboratore Nicandro Vizoco.

Tempo. Pazienza. Parole che spesso nel mondo del calcio sono sconosciute. Ma per chi ne conosce il significato e soprattutto le sa trasformare in un principio operativo, i risultati non tarderanno ad arrivare. Ed è quello che è successo alla Roma di Eusebio Di Francesco. Dopo la rocambolesca sconfitta alla seconda di campionato con l’Inter (che poi, se ti fermi un attimo ad analizzare quella gara nella sua completezza, comprendi che il risultato finale è un po’ ingannevole), c’era già qualcuno che metteva in dubbio il lavoro del mister arrivato dal Sassuolo. Ma a quattro mesi di distanza… tutto è cambiato.

Alzi la mano chi scommetteva sul passaggi del turno nel girone di Champions contro corrazzate come Chelsea e Atletico Madrid. Passaggio da primi in classifica. Per non parlare del campionato che, pur con una gara in meno, vede la Roma navigare nelle primissime posizioni. Insomma, i primi frutti si stanno già vedendo. E che frutti, ci sentiamo di dire. La Roma propone un calcio verticale, moderno, aggressivo in alcuni frangenti, con gli esterni alti del 4-3-3 tanto caro a Di Francesco che mettono in crisi le difese più serrate. Perotti (suo il gol qualificazione col Qarabaq), Defrel, El Shaarawy, ma anche Gerson schierato in tale posizione stanno stupendo, in attesa di Schick. La difesa è solida, il centrocampo di corsa e qualità.

Un undici pericoloso in ogni fase della partita, che sa fare possesso, mai fine a se stesso come ha ripetuto spesso l’allenatore nelle varie conferenze stampa pre- e post-match. Perché l’obiettivo è… attaccare spazi e profondità. Con forza, “cattiveria” e determinazione, utilizzando il lavoro prezioso di Dzeko. Servivano appunto tempo e pazienza per consentire al tecnico di… entrare nella testa dei suoi giocatori.


Mister, cosa è cambiato dalla nostra ultima intervista quando eri a Sassuolo?
«Ti direi tanto! L’esperienza ti permette di crescere, il tuo metodo si affina, la mia idea di calcio no! È sempre quella. Amo un tipo di gioco e questo rimane. Certo, qui alla Roma la possibilità di lavorare in settimana è poca perché la nostra settimana tipo è di tre giorni. A volte ti capitano sette giorni liberi, ma… ci sono le nazionali. E rimani in 14. Quindi, hai meno tempo per far passare i tuoi messaggi, di approfondirli; però, il rovescio della medaglia, in positivo fortunatamente, è che il livello dei giocatori è elevato e sono più ricettivi.»

Un’idea di gioco che si fonda sul 4-3-3. È sempre stato così?
«A Pescara, agli inizi, ho utilizzato anche 4-2-3-1 o 4-4-2. Ero subentrato ed era indispensabile adattarsi alla situazione del momento e alle caratteristiche dei giocatori. Non c’erano le condizioni per lavorare con il 4-3-3. Mi piace questo sistema perché hai qualità in fase offensiva, ci sono movimenti che, fatti coi tempi giusti e forza, ti consentono di “tagliare” le difese. E poi hai una buona copertura del campo. Non ultimo, ho la sensazione che sappia trasmettere quei concetti fondamentali per la sua applicazione nel modo migliore.»

Quindi, nella ormai famosa diatriba tra sistemi e princìpi, o meglio tra schemi e princìpi… dove ti collochi?
«Guarda, penso che chi non crede nei sistemi parli di princìpi e chi non ama i princìpi preferisca i sistemi. A parte la “battuta”, credo che bisogna avere un sistema con dei princìpi. Le due cose sono correlate. Perché i concetti di gioco si basano anche su come ti schieri. Se vuoi che gli esterni lavorino in ampiezza perché questo è un tuo principio, deve tenere in considerazione che in non possesso devono accentrarsi con corse apposite per chiudere certe giocate. Per me sono due cose collegate.»

Per svilupparli vi sono diverse soluzioni durante l’allenamento: l’altra volta ci avevi parlato anche dei giochi di posizione, che non tutti amano.
«Ritengo siano molto validi, dipende solo dalle finalità che vuoi ottenere. Hanno una sola direzionalità, però non è un problema: ciò che conta sono gli interventi dell’allenatore. E poi vi sono delle strategie operative che ti permettono di modificarli e inserire porta e zone in cui concludere.»

Puoi indicarne uno?
«Spazio da area a metà campo, leggermente più stretto. Utilizzo chiaramente il 4-3-3, i jolly sono un centrale difensivo, il metodista e la punta. Dietro alla linea c’è il portiere che ormai è fondamentale per il gioco di squadra (figura 1). Ricorda: meno sono bravi i tuoi giocatori, più devi inserire dei jolly per rendere efficaci le proposte. Quello che mi interessa, ad esempio, è l’atteggiamento a palla persa o riconquistata: nel primo caso bisogna lavorare immediatamente in aggressione, con un attacco immediato degli appoggi (figura 2); nel secondo bisogna aprirsi velocemente per permettere lo sviluppo dell’azione appoggiandosi obbligatoriamente su un jolly. Non mi preoccupo che il terzino destro contrasti il dirimpettaio, voglio che lavori sul principio di riaggressione a palla persa. Con l’avversario che al contrario si apre in posizione. A volte, metto un doppio centravanti, così anche questo deve muoversi al meglio senza palla (figura 3). Però…»


Però…
«La differenza deve farla l’allenatore. Deve correggere, curare i posizionamenti di taglio dei centrocampisti, la precisione delle giocate, gli smarcamenti, ad esempio. Parlo di tattica individuale, di particolari del proprio ruolo, che non vanno mai tralasciati. E che si migliorano, come la tecnica di base, anche a più di 30 anni. Nei giochi di posizione, oltre ad agire nelle zone di campo e nei ruoli della gara, si curano bene sia gli aspetti calcistici sia quelli fisici: a Sassuolo li proponevo anche due volte a settimana, dei blocchi di 5’ + 2’ di recupero e l’intensità, ti garantisco, era molto alta. Qui a Roma, visto la nostra settimana corta, li sfrutto un po’ meno. Ma quando i ragazzi comprendono le finalità e l’efficacia è un piacere vederli.»

Poi ci sono le proposte a squadre contrapposte…
«Certo, allargo il campo, inserisco delle porticine al limite dell’area, difese da un portiere se serve, e schiero i miei due gruppi (figura 4). I jolly possono essere i centrocampisti, uno, due o anche tre a seconda del principio che ti ho spiegato (il numero di jolly dipende dal livello dei giocatori, nda). L’obiettivo è giocare palla a terra e cercare un filtrante per l’inserimento degli attaccanti. La palla alta è valida solo se destinata a un giocatore che si inserisce per la conclusione o per un cross. Non mi interessa lavorare in questo caso sui cambi di campo, non ricerco questa finalità.»

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