La prima intervista “fuori dal nostro mondo” ha visto protagonista il direttore artistico di Radio Deejay, Linus, che ci racconta la sua storia, la passione per la musica e per lo sport, in particolare corsa e calcio.
Foligno, il 30 ottobre 1957 nasce Pasquale Di Molfetta, meglio conosciuto come Linus. Dopo pochi anni si trasferisce in provincia di Milano e nel ‘76 esordisce come Disc Jockey in piccole radio locali dell’hinterland milanese. Nel 1996 diventa direttore artistico di Radio Deejay, ma oltre al suo talento innato per la comunicazione e alla sua passione per il suo lavoro, Linus è anche scrittore, atleta, padre… In questa nuova rubrica che si accosta a temi extracalcistici abbiamo fatto quattro chiacchiere con un’icona della radio italiana.
Partiamo dalla musica: come ti sei avvicinato alle “canzoni”?
«Guarda, mio padre era un musicista, diciamo “mancato”, suonava la tromba. Però era un’altra epoca, il lavoro e la famiglia venivano prima di tutto. Ma mi ricordo ancora quando, durante il Festival di Sanremo, invece di canticchiare le parole accennava le note. In più, sono stato bambino e adolescente negli anni ‘60, forse il decennio più prolifico dal punto di vista musicale, quindi ho avuto un imprinting familiare e ambientale molto forte. Sono cresciuto pure nel periodo in cui nascevano le radio private, in particolar modo a Milano, e mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto.»
Da allora che cambiamenti ci sono stati?
«Enormi! Sicuramente c’era la musica POP, una forma espressiva che si basa su elementi talmente semplici ma accattivanti, che alla lunga fatica a rinnovarsi. Con voce, chitarra e batteria alla fine le soluzioni sono quelle. Ora è ancora tutto più semplificato: chiunque può fare musica con la tecnologia, non serve neanche una voce angelica. Ciò che mi ha colpito maggiormente nell’ultimo periodo è il frazionamento tra la musica dei “ragazzini” e quella dei “grandi”, sono due mondi davvero distanti. Prima la musica era più trasversale, abbracciava diverse generazioni.»
E le radio?
«Anche loro sono cambiate e lo faranno pure in futuro. Bisogna stare al passo coi tempi: noi come Radio Deejay siamo un’eccezione in un panorama che sta diventando sempre più internazionale, con tante emittenti di “flusso”, parecchia musica e poco spazio agli speaker. La mia idea, invece, è quella di una radio di personalità, con persone che hanno qualcosa da dire, riconoscibili, con una propria identità. Per questo, il mio compito, come direttore artistico, è quello di scegliere i personaggi giusti e metterli nelle condizioni di esprimersi: devono avere la loro libertà, se no non renderanno mai!» Un discorso questo, che riportato in ambito calcistico, a qualsiasi livello… ha il suo perché.
Parliamo dei nuovi “talenti” musicali, come li scoprite?
«Abbiamo un ufficio dedicato, 4-5 persone con questo incarico, una specie di osservatori come nel calcio. Hanno i rapporti con le case discografiche e si muovono per dare un’identità musicale alla radio. A volte, però, tutto può nascere casualmente: scopri una bella canzone in una serie TV, in una classifica estera. Se invece parliamo di talenti radiofonici, il discorso è diverso.»
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