Vincenzo Vivarini, è l’allenatore del Catanzaro, squadra che guida dal novembre del 2021, ci racconta la sua esperienza fatta di gavetta e di incontri importanti. Ci spiega il suo calcio, quanto conta restare al passo coi tempi e la settimana tipo di un club che nella sua storia ha vissuto momenti davvero esaltanti.
Umiltà, lavoro, passione e cura dei particolari. Un allenatore che ha vissuto la gavetta e che conosce perfettamente quanto sia difficile emergere in questo mondo. Vincenzo Vivarini ha fatto dello studio e dell’aggiornamento i pilastri del suo metodo. Parlando con il mister si capisce che è importante mettere sempre in discussione le proprie idee per riuscire a evolversi restando al passo con i tempi. L’esperienza non conosce scorciatoie e da ogni stagione bisogna prendere spunto per crescere e stare al passo con i cambiamenti che il gioco propone.
Quali sono stati i punti cruciali nel tuo percorso? Quando hai capito che avresti potuto fare l’allenatore? E ci sono delle figure che hanno segnato la tua strada?
«Ho smesso di giocare abbastanza presto a causa degli infortuni che ho patito, mi sono rotto entrambi i legamenti crociati. Nel periodo di Sacchi, quando si è passati dalle marcature a uomo a quelle a zona, come attaccante mi sono trovato in difficoltà e già durante questa transizione cominciavo a ragionare sulla tattica. Poi ho smesso gli scarpini e ho cominciato a studiare; quindi, ho avuto l’opportunità di lavorare a Pescara come collaboratore tecnico. Lì c’era Ivo Iaconi che mi ha permesso di viaggiare parecchio e per un periodo durato tre anni ho visto molti allenamenti e tantissime partite, soprattutto di Serie B.
Questa fase della mia carriera mi ha dato la possibilità di studiare le idee di vari allenatori e imparare sull’aspetto tattico. Mi ricordo per esempio l’Empoli di Somma, che era una squadra all’avanguardia e spettacolare! Poi ho avuto altre opportunità, chiamiamole anche di aggiornamento, con Simonelli, Sarri e Ballardini, che sono passati a Pescara, e con Gigi De Rosa col quale ho calcato il palcoscenico della B. Con Sarri sono cambiato, mi si è aperta la testa! Con lui credo di aver fatto un salto di qualità: ha dimostrato di essere un allenatore molto moderno, mi ha trasmesso la meticolosità nel preparare gli allenamenti, la cura del particolare.»
E hai cominciato da primo allenatore…
«Inizialmente ho avuto qualche problema col patentino perché quello che avevo non mi permetteva di allenare tra i professionisti. Allora sono ripartito dalla Serie D, dove ho cominciato con umiltà e applicazione. Posso dire di aver fatto la vera gavetta… Ho vinto con il Chieti in D e da lì mi si sono aperte le porte delle categorie superiori. Ho vissuto quindi le esperienze con Latina, Empoli, Ascoli, Bari e Virtus Entella: abbiamo vinto 3 campionati, un percorso che mi ha portato all’esperienza attuale di Catanzaro.»
Ti manca un ultimo grande salto: la massima serie. È un tuo obiettivo?
«Sì, è un obiettivo, nel mio percorso ho avuto buoni risultati e sono andato in crescendo e quindi voglio continuare a crederci e provarci: assieme al mio staff abbiamo una grande motivazione. In passato ho sfiorato la Serie A (il mister parla della stagione di Empoli, ndr), però purtroppo mi hanno esonerato in un campionato passato sempre nelle prime posizioni…»
Nel tuo percorso hai vinto sia nei dilettanti sia nel professionismo. Cosa serve in Italia per farlo?
«Penso che sia necessario lavorare tanto: saper cogliere le evoluzioni del calcio e curare i particolari. Al giorno d’oggi si notano già cambiamenti rispetto a 5 o 10 anni fa, per esempio la velocità della palla. Un allenatore deve sapersi evolvere insieme a questi e non essere troppo fermo sui suoi princìpi, deve sapersi aggiornare, magari gettando un occhio anche a quello che succede all’estero, dove è possibile scoprire progetti tattici nuovi di alto livello.»
La tua idea di calcio cosa prevede e come è progredita nel tempo?
«Non sono più legato ai sistemi di gioco, ho abbandonato inoltre movimenti e giocate preordinate. Il mio vuole essere un gioco di princìpi e posizioni da occupare; mi piace lavorare sulla velocità della palla e sullo sviluppo del gioco in verticale, oltre che sullo sfruttamento della profondità. Di conseguenza si sono modificati anche i miei metodi di allenamento: mi piace ricercare e allenare assiduamente le situazioni che si verificano in partita, ricreando contesti molto similari.»
Il tuo staff, com’è formato e di cosa si occupano i collaboratori?
«Il mio collaboratore principale è Andrea Milani con il quale ho un rapporto stretto e costante: ci confrontiamo regolarmente e può anche mettere in discussione le mie idee per portare un miglioramento. Quando ero un collaboratore mi piaceva avere lo stesso approccio verso il primo allenatore. Il preparatore è Antonio Del Fosco con il quale stiamo portando avanti un progetto sull’individualizzazione dei carichi che al momento ci sta dando buoni risultati, anche in termini di un minor numero di infortuni. Lui è molto aggiornato e ci aiuta ad affrontare il complesso mondo dell’aspetto fisico-atletico. Fabrizio Zambardi invece si occupa dei portieri: riponiamo molta attenzione a questo ruolo perché, tornando all’evoluzione che ha subìto il calcio, si tratta di colui che può generare una superiorità numerica e dunque è troppo importante per una squadra che vuole controllare il gioco e gestire il possesso della palla.»
Apriamo una parentesi sull’argomento giovani che è sempre molto delicato e discusso in Italia. Nel tuo percorso come hai gestito l’inserimento dei giovani nelle prime squadre?
«Ho sempre cercato di portarli in prima squadra e ho fatto esordire diversi ragazzi della Primavera. Forse si sottovaluta la loro importanza a discapito di giocatori più esperti, bisogna dare loro fiducia. Questa è la parola chiave. Per esempio, a Pescara ho fatto esordire Ciofani, ad Ascoli Frattesi, ad Empoli Bennacer che arrivava dalla Primavera dell’Arsenal e che misi sin da subito titolare, così come Traoré. Come ultimo ti posso citare Bayeye che adesso è al Torino. È molto gratificante vedere i percorsi che hanno fatto questi ragazzi a distanza di anni.»
Per quanto riguarda il lavoro settimanale come vi organizzate? Tendenzialmente agite in prevalenza a secco o con la palla?
«Per l’aspetto atletico svolgiamo un lavoro personalizzato. Solitamente il primo giorno ci alleniamo e differenziamo l’intervento tra chi non ha giocato e chi lo ha fatto: a seconda dei casi si fa scarico o compensazione. Perseguiamo l’obiettivo atletico sia con lavori a secco sia con esercitazioni situazionali con il pallone. Inoltre, disputiamo partite a temi agendo su obiettivi generali come per esempio la superiorità numerica e la ricerca dell’uomo libero. Proponiamo possessi palla a campo “grande”, per esempio 8>8 più jolly, ma anche in spazi più ridotti. Insomma, cominciamo a introdurre qualche input rispetto alla gara che ci apprestiamo ad affrontare, magari ricreando il sistema avversario. Spesso non abbiamo il giorno di riposo perché giochiamo un turno infrasettimanale.»