Cesare Prandelli: “Il calcio deve sorprenderci ancora”

Cesare Prandelli: “Il calcio deve sorprenderci ancora”

L’intervista a trecentosessanta gradi con Cesare Prandelli, già commissario tecnico della nostra Nazionale. Si parla di giovani, di formazione, di idee per cambiare e per rendere più bello il gioco che tanto amiamo.

Cesare Prandelli non ha certo bisogno di presentazioni. Giocatore della mitica Juventus di Michel Platini, poi allenatore di diversi club della massima serie e all’estero, oltre che della nostra Nazionale, con un trionfo all’Europeo del 2012 sfuggito nella finale con la Spagna. Tra l’altro ha esperienze da formatore di giovani nel vivaio dell’Atalanta di Mino Favini per diverse stagioni. Una carriera di primo livello, il calcio ora lo vede da più lontano, lo segue, lo ama come prima… però la panchina che sogna, come ha dichiarato nel momento in cui ha deciso di smettere, è quella al parco coi suoi nipoti.

Le sue competenze e le sue esperienze, oltre alla signorilità – sì, quella manca molto oggi – ne fanno il giusto interlocutore per parlare delle tendenze calcistiche del momento, con una particolare attenzione ai giovani. Perché basta fermarsi un attimo a pensare all’ultimo grandissimo calciatore italiano, da primi cinque delPallone d’Oroper intenderci, che ci troviamo spiazzati. Dobbiamo andare molto indietro nel tempo (non considerando il quarto posto di Gigi Buffon quasi al termine della sua carriera), questo deve farci pensare. Molto. Perché non è possibile che in Italia non nascano talenti top level. Da qualche parte si deve nascondere un problema.

Mister, partiamo dal fatto che abbiamo un movimento importante, ma ci mancano giocatori di spicco, elementi offensivi e non solo, di grandissimo valore. Se le chiedo qual è l’ultimo grande giocatore che il calcio italiano ha prodotto, cosa mi risponde?
«Che ho bisogno di un po’ di tempo per pensarci. E questo significa che, almeno negli ultimi 15 anni, non c’è. Questo calcio globale, questa ricerca spasmodica di numeri, di sistemi di gioco, di ripartenze dal basso e di costruzioni… ha fatto sì che il collettivo, la tattica d’assieme ha schiacciato l’individualità. Se nel settore giovanile ci sono dei ragazzini che hanno delle doti, che possono essere l’imprevedibilità, la tecnica, la fantasia, la giocata non scontata, non sempre vengono accettati. Perché? Perché mettono in difficoltà gli allenatori. Questa è la verità. Non dobbiamo analizzare la nostra Serie A, quello è l’apice, dobbiamo capire cosa succede prima. Abbiamo prodotto negli ultimi anni buoni centrocampisti, senza grandi fantasie magari, discreti difensori, che hanno però qualche limite nell’uno contro uno, ma di attaccanti e fantasisti non se ne parla. Nessuno.»

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Autore: Luca Bignami.
Foto: Imago.