La storia del trofeo più importante del Sud America, che promette la “Gloria Eterna” a chi lo vince. Per arrivare preparati alla finale di fine mese al Monumental.
Quando pensiamo al calcio sudamericano la nostra mente corre subito a stadi stracolmi di gente, enormi striscioni, qualche fumogeno e un tifo indemoniato per partite che sono vissute come epiche battaglie per le accese rivalità tra i club. E non sono frasi fatte visto il clima in campo, sugli spalti e fuori, a volte esagerato, sicuramente passionale.
Il calcio sudamericano, anche per questo motivo, esercita un fascino particolare, e la competizione che ne rappresenta al meglio l’essenza è la Copa Libertadores. Una competizione fatta di un calcio vissuto con estremo trasporto, da sempre. Non è un caso che il primo torcerdor sia nato in Uruguay: Prudencio Miguel Reyes era il gonfia-palloni o meglio l’hinchador del Nacional. Oltre a svolgere il suo compito incitava con trasporto la propria squadra quando il pubblico era ancora molto composto. Una scelta che gli è valsa una sorta di “Gloria Eterna”, proprio come recita il motto della Libertadores; tra l’altro, ancora oggi, i tifosi più passionali sono proprio detti hinchas.
Il precedente
Il primo torneo continentale tra squadre di club in Sud America risale al 1948 quando grazie a Roberto Espil, dirigente del Nacional di Montevideo, e Robinson Álvarez, presidente del Colo Colo, fu organizzata una competizione aperta alle squadre vincitrici del proprio campionato: il Campeonato Sudamericano de Campeones. Sette squadre parteciparono a un girone all’italiana di cui risultò vincitore il Vasco da Gama. Dopo quest’unico precedente non ci furono tornei simili fino a 12 anni più tardi, ma ormai l’idea era stata lanciata.
Gli albori
La storia della Copa Libertadores comincia, sotto un altro nome, nel 1960. L’intento della CONMEBOL, l’equivalente sudamericano della UEFA, era creare una manifestazione analoga alla Coppa dei Campioni che permettesse alle migliori squadre del Sudamerica di sfidarsi ed eleggere il club più forte del continente. Il nome scelto originariamente? Un non molto originale Copa de Campeones de América. Proprio come il torneo europeo era riservato ai campioni nazionali ma delle 10 federazioni della CONMEBOL accolsero l’invito solo in sette: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Paraguay e Uruguay. Perù, Ecuador e Venezuela decisero di parteciparvi solo successivamente. I primi vincitori del Peñarol giocarono anche la prima Coppa Intercontinentale: un doppio confronto, perso, contro il Real Madrid di Puskás e Di Stefano. Qualche anno più tardi, nel 1965, ci fu l’allargamento anche alle seconde classificate dei campionati nazionali. Cadde così la ragione del nome e si scelse un sostituto denso di significato: Copa Libertadores de América. Un omaggio ai liberatori dell’America Latina dal dominio europeo.
Il trofeo
Si possono individuare due parti ben distinte: una base, realizzata in legno, e il trofeo vero e proprio in argento. Sulla cima della sfera è rappresentato un calciatore che calcia di sinistro un pallone, simbolo dello spirito del calcio sudamericano. Poggia su un globo, sul cui equatore corre una fascia che esplicita il nome della competizione. Nella parte superiore sono raffigurati i simboli delle federazioni nazionali associate alla CONMEBOL, mentre nella parte inferiore il profilo del Sudamerica. Per certi versi questo è un trofeo che cambia ogni anno: dopo ogni finale, nella parte inferiore, viene aggiunta una placca in onore della squadra vincitrice. Per questo motivo, nel corso degli anni, è stato più volte ampliato il supporto che ospita l’albo d’oro. Solo i club che vincono la coppa tre volte consecutivamente custodiscono il trofeo originale: ad oggi ci sono riusciti solo l’Independiente e l’Estudiantes.
Il format
Attualmente sono 47 le squadre che prendono parte alla competizione: 28 sono già ammesse alla fase a gironi, 4 devono passare per una serie di gare di qualificazione di più turni (massimo tre). Quindi, si formano 8 gruppi da 4 squadre. Il funzionamento è quello classico, quello della “vecchia” Champions League. Le prime due classificate di ogni girone avanzano alla fase a eliminazione diretta, le terze vengono “retrocesse” nella Copa Sudamericana. Dagli ottavi la sfida si articola su in doppio confronto fino alle semifinali, ma in caso di parità si calciano direttamente i rigori, niente supplementari. La finale si disputa su gara unica, ma è una modifica recente, datata 2019. Solo per l’atto conclusivo, in caso di pareggio dopo i tempi regolamentari, si giocano i supplementari e successivamente si arriva ai rigori. Un’altra importante ma temporanea modifica risale al 1998 quando le squadre messicane furono ammesse alla competizione, pur essendo affiliate alla CONCACAF, la federazione del Nord e Centro America. Una situazione che è perdurata fino al 2016: in questo lasso di tempo nessun club del Messico è riuscito a sollevare il prestigioso trofeo anche se nel 2001 la Cruz Azul, partendo dai preliminari, è arrivata fino alla finale con il Boca Juniors. Seconda posizione raggiunta nel 2010 anche dal Guadalajara e dal Tigres 5 anni più tardi.