La maggior parte delle situazioni di gioco sono caratterizzate da continue sollecitazioni, che impongono al calciatore di transitare incessantemente da una condizione di disequilibrio a una di equilibrio e viceversa (ad esempio nell’1>1, nei cambi di direzione, negli stacchi monopodalici, nei tiri al volo, nella ripresa della posizione dopo una caduta…).
Ciò che è importante, dunque, non è la capacità di conservare l’equilibrio, ma di saperlo ritrovare ogni volta. Tale capacità è determinata principalmente dalla discriminazione propriocettiva, di cui si parlò per la prima volta agli inizi del 1900, per indicare l’insieme di segnali provenienti dai propriocettori, la cui funzione principale è quella di informare, istante per istante, il sistema nervoso sui movimenti propri dell’organismo (Sherrington, 1906).
Gli esercizi di propriocettiva hanno lo scopo di sollecitare i recettori articolari, tendinei muscolari e cutanei, e le strutture vestibolari dell’orecchio interno, in sinergia con le informazioni visive.
Per gestire le informazioni provenienti dall’ambiente circostante il sistema nervoso mette in atto strategie differenti e, quindi, per una buona attività di prevenzione – e non solo – è essenziale stimolare le diverse submodalità propriocettive. In che modo? In genere vengono usati accorgimenti e attrezzi che provocano disequilibrio, partendo dai piedi con superfici instabili (ad esempio, tavolette, bosu, skimmy). È poi necessario rendere le situazioni allenanti più dinamiche, specifiche e funzionali, introducendo il disequilibrio da ingressi diversi (ad esempio, al ginocchio, al bacino, al busto, alle spalle…) e rendendo le esercitazioni imprevedibili, senza la possibilità di una programmazione motoria anticipata (ad esempio, cambi di direzioni, atterraggi, rotazioni).
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